Per decenni, la Palestina è stata al centro di quasi tutte le proteste del mondo arabo. E' stato uno strumento per le masse, frustrate dai propri regimi, che ha permesso di protestare senza subire repressione dai propri governi e al tempo stesso si è trattato dell'attrazione che i regimi concedevano alle loro masse frustrate. Ma la causa palestinese è stata anche il veicolo per la mobilitazione e un campo di addestramento per l'organizzazione politica, in seguito diventata utile per tutti gli attivisti.
Per essere chiari, nulla di ciò serve a dire che il coinvolgimento e la solidarietà non fossero autentici; il più delle volte lo erano davvero. Tuttavia, le proteste per la Palestina o contro Israele sono state anche strumenti per le popolazioni dei paesi arabi che in questo modo potevano manifestare la propria insoddisfazione in un modo politicamente "sicuro", dato il carattere repressivo dei regimi in cui vivevano.
Recentemente, un'amica siriana con cui discutevo circa le ultime proteste mi ha ricordato che la sua prima manifestazione da bambina era stata per la Palestina - in realtà la maggior parte delle proteste a cui aveva partecipato o assistito crescendo da araba occidentale erano a favore della Palestina. Io ho annuito e sorriso, per nulla sorpresa. La realtà è che la Palestina, nel bene o nel male, era la questione per la quale gli arabi - sia residenti nei paesi arabi, sia in diaspora - hanno organizzato la maggior parte delle proteste.
Aggiungendo alla scintilla
Oggi, nella regione, stanno nascendo una nuova cultura e un nuovo spirito di protesta diretti, forti e coraggiosi. Queste rivolte sono state altrettanto, se non di più, portate avanti da persone che credono nella sovranità popolare così come è avvenuto ogni volta che è stato rovesciato un dittatore. Si tratta di un mito, e francamente irrispettoso, pensare che le fondamenta di queste rivolte, organizzate da centinaia e migliaia di leaders dissidenti e dai giovani, siano nate dal nulla.
Sebbene in Tunisia, Egitto, Libia, Yemen, Siria, e negli altri stati non siano scoppiate rivolte negli ultimi 30 o 40 anni, questo non significa che non ci siano stati costanti arresti, scontri, torture, uccisioni, o sia scomparsa la fiamma della rivolta.
Tuttavia, ciò che è particolarmente interessante è che ciò che sta accadendo in Palestina oggi è una sorta di inversione di ruolo, e se non si è prestata attenzione, probabilmente questo aspetto non è stato colto. Le proteste arabe di tutta la regione sono al servizio dei giovani palestinesi più o meno come durante le scorse Intifada, che hanno visto la solidarietà di attivisti e popolazioni di tutti i paesi arabi.
Oggi sono i palestinesi che mostrano le loro frustrazioni personali attraverso le proteste di solidarietà. Come nel caso degli arabi che manifestavano a favore della Palestina, si tratta comunqe di emozioni genuine. Tuttavia, le proteste hanno una funzione molto più importante ed emblematica nell'ambito dell'insoddisfazione dei palestinesi per la loro situazione politica attuale e per la condizione della resistenza: non si tratta quindi solo della semplice solidarietà con i fratelli arabi.
La divisione tra Fatah e Hamas, il tentativo non riuscito dello scorso settembre di ottenere uno stato, la leadership confusa dell'Organizzazione per la Liberazione della Palestina (OLP), il ritorno agli impopolari negoziati con Israele, il forte aumento delle demolizioni delle case e gli arresti di palestinesi da parte delle forze israeliane hanno lasciato gli attivisti in uno stato di smarrimento rispetto alle azioni da organizzare. Ma ogni nuovo progetto è parte di un nuovo dialogo e passo dopo passo gli attivisti stanno giungendo all'attuazione di un approccio globale.
Le proteste per la Palestina e, nel corso dell'ultimo decennio, per l'Iraq, sono state un importante terreno di formazione per i giovani attivisti di tutto il mondo arabo, che hanno avuto modo di seguire delle vere e proprie lezioni di mobilitazione politica. Ad esempio, il movimento del 15 marzo che vuole porre fine alle divisioni interne alla Palestina ha avuto un ruolo attivo nel confronto conflittuale con le forze di sicurezza dell'Autorità Palestinese - così come durante le proteste tenute in solidarietà dell'Egitto un mese prima.
Nel novembre scorso i palestinesi sono scesi in piazza Manara, nel centro di Ramallah, per sostenere ancora una volta, le proteste degli egiziani contro il regime militare, in un momento in cui Fatah e Hamas si stavano incontrando al Cairo con il generale Hussein Tantawi. Più di recente, è stata la Siria ad aver attirato l'attenzione dei giovani: dalla scorsa estate sono state organizzate due manifestazioni di solidarietà con questo paese sempre in Piazza Manara.
Alcuni degli stessi attivisti che hanno contribuito a diffondere e guidare le proteste di solidarietà si stanno ora spendendo per questioni più locali, e per la terza settimana di fila hanno protestato di fronte al palazzo presidenziale, la Muqataa, contro l'OLP di ritorno dai negoziati con Israele.
Nelle loro analisi e discussioni sulla Palestina e le rivolte, alcuni si sono erroneamente chiesti quando la Palestina si unirà alla "Primavera araba", o quando vedremo una terza Intifada. Ma questa domanda riflette una fondamentale incomprensione rispetto alla natura della resistenza nella società palestinese e rispetto al ruolo delle Intifada nella coscienza collettiva della maggior parte degli arabi.
Una Intifada in corso
Prima di tutto, sicuramente non siamo in ciò che potremmo considerare una formale intifada, ma la resistenza in Palestina non si limita ad una riproduzione tradizionale dell'Intifada. Si tratta di uno stato d'essere in costante divenire e di una lotta che attraversa fasi di organizzazione dipendenti da numerosi fattori; è una evoluzione dinamica basata sulla lunga storia di una comunità che raggruppa e ridefinisce continuamente la forma e il linguaggio della sua resistenza.
Proprio come gli arabi della regione hanno speso decenni di presunta "tranquillità", "costruendo" e apprendendo, i palestinesi, e in particolare i giovani palestinesi, si stanno raggruppando e ridefinendo. Se si pensa che la resistenza in Palestina sia morta, non si è stati sufficientemente attenti.
Nessuno, guardando le immagini delle rivoluzioni in Tunisia, in Egitto e negli altri paesi potrebbe fare a meno di ricordare le immagini della prima Intifada palestinese - giovani ragazzi in piedi di fronte ai veicoli blindati, disarmati e ribelli. Ma, tralasciando il coinvolgimento emotivo e le immagini delle rivolte popolari fino ad assumere che un'ondata rivoluzionaria potrebbe diffondersi in Palestina, ciò dimostra che si tratta dell'applicazione di un'analisi obsoleta sia rispetto a cosa scatenerà una "terza Intifada", sia rispetto a cosa potrà sembrare.
Per gli egiziani, l'ampiezza delle proteste del 25 gennaio 2011 - e ciò che è successo - è stata una rottura nella loro precedente immaginazione (naturalmente la Tunisia è stata una rottura rispetto ad ogni possibile immaginazione). Le rivolte sono state sicuramente costruite su questa rottura, e da allora ne sono trascinate. Al contrario, le proteste del 15 maggio organizzate per la Nakba si rifanno ad una ricorrenza particolare, e non rappresentano una rottura nell'immaginario dei palestinesi, anche se sono facilmente paragonabili a ciò che sta accadendo nel resto della regione.
I giorni in cui un singolo evento era in grado di mobilitare un movimento di massa in Palestina sono passati. Nell'occupazione ormai radicata di oggi, con la debole leadership politica, con la crescente dipendenza dai donatori statali e dalle organizzazioni non governative e la stanchezza generale di molti palestinesi, la terza Intifada, definita come tale, non sarà simile a nulla di ciò che abbiamo visto e neppure avrà inizio.
Stiamo andando a riadattare i nostri occhi e la nostra immaginazione per riconoscere i segnali della cosiddetta prossima Intifada, affinché non venga associata ad alcun ricordo nostalgico delle rivolte passate. Le proteste di solidarietà con i palestinesi sono solo uno dei molti esempi (il movimento di unità del 15 marzo, le azioni per il Giorno della Nakba, i Freedom Rides palestinesi, il movimento BDS, la registrazione degli elettori della diaspora per il Consiglio Nazionale Palestinese) di una lenta ma costante riorganizzazione strategica che sposta la coscienza dei giovani e delle comunità di attivisti.
La terza Intifada potrebbe effettivamente contenere molte delle caratteristiche delle precedenti, ma se la diversità e la creatività presenti nelle fondamenta che si stanno costruendo oggi sono un indicatore, il suo inizio ci prenderà di sorpresa, non perché sarà improvvisa, ma perché non sarà chiara a tutti da subito.
Nour Joudah
Nour Joudah è una specialista di Studi Arabi presso il Centro Georgetown University for Contemporary Arab Studies; attualmente sta conducendo una ricerca sul ruolo e la percezione dell'esilio politico nella lotta di liberazione palestinese. Ha anche un blog all'indirizzo isdoud.wordpress.com.
Fonte: http://electronicintifada.net
Traduzione a cura di PalestinaRossa