C'è un fuoco che brucia sotto le ceneri dell'occupazione in Palestina, queste sono le braci tremolanti di resilienza che da lungo tempo fanno avanzare la lotta dei popoli per la liberazione nazionale che in Palestina continua a imperversare.
Il racconto storico della resistenza palestinese è condiviso da tutti i popoli sottomessi e indigeni - è la cronaca dell'indomita volontà umana di sopportare, per rompere le catene della schiavitù mentale e fisica.
In Palestina l'occupazione e le sue conseguenze sono tangibili, intenzionalmente strazianti e umilianti: trasferimenti collettivi, sfruttamento delle risorse naturali, posti di controllo, atti casuali di violenza dei coloni, demolizioni di case, incendio intenzionale delle colture e una politica di colonizzazione che ha portato i palestinesi a diventare la popolazione di rifugiati più antica e più grande del mondo.
La continua espansione della colonizzazione della Palestina ha prodotto un processo farsa di pace che è clinicamente morto - morto già dall'inizio - perché non può esserci "pace" alle condizioni di Israele, o alle condizioni di un qualsiasi altro insediamento colono.
L'immenso fallimento del "processo di pace" (e di altre simili trattative diplomatiche prive di vita, ironicamente mediate dagli Stati Uniti) per porre fine all'occupazione era stato previsto, perché la pace non era il fine di tali negoziati.
L'Autorità palestinese, guidata da Mahmoud Abbas, è ampiamente considerata dai palestinesi corrotta, così come il suo obiettivo principale è percepito essere quello di emarginare le principali voci palestinesi al fine di riempire le tasche dell'organizzazione - una premessa corroborata da un'Autorità Palestinese spesso in collusione con Israele e gli Stati Uniti.
L'unica risposta che risulta essere sufficiente per l'occupazione israeliana è la resistenza popolare.
In Palestina, la risposta del popolo all'egemonia coloniale e straniera si compone di resistenza armata e resistenza disarmata, e storicamente il popolo palestinese si è impegnato in entrambe - anche prima della creazione di Israele.
Rivolte fiscali, dimostrazioni di massa e scioperi generali che coinvolgevano i sindacati delle donne, dei movimenti giovanili e delle organizzazioni politiche hanno costituito la "grande rivolta palestinese" contro l'occupazione britannica in Palestina dal 1936 al 1939, così come hanno anche organizzato la resistenza armata.
La conferma storica dei movimenti di resistenza popolare in Palestina, anche se spesso ignorata, rimane un testamento della determinazione del popolo palestinese, che da tempo ha espresso netta opposizione all'occupazione della loro terra.
Il popolo della Palestina intrepido prosegue il percorso di resistenza e nel corso degli anni i suoi innumerevoli metodi sono diventati più diversificati e creativi.
Sciopero della fame per i diritti fondamentali
Nel dicembre 2011, il detenuto amministrativo Khader Adnan, un panettiere del villaggio di Arraba nella Cisgiordania occupata, ha iniziato uno sciopero della fame senza termine.
La sua azione avrebbe portato a uno storico sciopero della fame di massa, continuando fino a che le richieste relative alle condizioni dei prigionieri palestinesi fossero state soddisfatte - la condizione più urgente era quella di porre fine alla detenzione amministrativa.
In precedenza, nel settembre 2011, scioperi della fame e disobbedienza civile si diffusero in tutto il sistema carcerario israeliano per protestare contro l'uso da parte di Israele dell'istituto dell'isolamento, la negazione delle visite familiari e altre misure punitive.
La detenzione amministrativa, una pratica criticata da un certo numero di organizzazioni dei diritti umani in quanto violazione dei diritti civili e politici, prevede l'arresto e la detenzione di individui da parte dello Stato senza alcun processo.
Nel caso di Israele, prigionieri palestinesi sono trattenuti in detenzione amministrativa senza accusa o la possibilità di affrontare un giusto processo.
Secondo l'Associazione Addameer di supporto ai prigionieri e dei diritti umani, i "detenuti amministrativi in Israele devono sopportare severe restrizioni sul loro diritto all'istruzione, sul diritto di comunicare con le famiglie e di ricevere visite, e sul diritto di avere cure mediche adeguate".
In una lettera data ai suoi avvocati, Khader Adnan ha dichiarato le sue intenzioni e le sue motivazioni per le quali era in sciopero della fame: "L'occupazione israeliana è andata agli estremi contro il nostro popolo, soprattutto verso i prigionieri. Sono stato umiliato, picchiato, ho subito interrogatori e vessazioni per nessuna ragione, e così ho giurato su Dio che avrei combattuto la politica della detenzione amministrativa a cui io e centinaia di miei compagni di prigionia siamo caduti preda.
Con la presente [...] voglio affermare che sto affrontando gli occupanti non per me stesso come individuo, ma per il bene di migliaia di prigionieri che vengono privati dei loro diritti umani più semplici mentre il mondo e la comunità internazionale restano a guardare" (Hunger-striking prisoner not backing down, Maan News Agency, 11 February 2012).
Migliaia di prigionieri palestinesi uniti nello sciopero della fame di massa con una comunità internazionale di persone comuni - non i governi - saldamente alle loro spalle. Le campagne sono state lanciate in tutto il mondo a sostegno dei prigionieri, e la pressione contro Israele si stava costruendo senza le voci dei palestinesi essendo cooptati in esso ed emarginati.
Khader Adnan è stato rilasciato il 17 aprile scorso, noto ai palestinesi come il giorno dei prigionieri, dopo essere stato in sciopero della fame per 66 giorni.
Secondo l'associazione Addameer dal 1 giugno ci sono almeno 303 detenuti amministrativi nelle carceri israeliane, e così la lotta contro l'uso arbitrario di Israele della detenzione amministrativa verso i prigionieri continua.
L'esempio della Gioventù
I "Giovani palestinesi", nei territori occupati e in esilio, hanno assunto un ruolo attivo ed efficace nel resistere all'occupazione della loro terra ancestrale, dall'organizzare e costruire il movimento fin a a dare ai giovani palestinesi l'opportunità di assumere un ruolo più diretto nella lotta di liberazione.
Stop the Wall è una di queste organizzazioni che coltiva il ruolo dei giovani palestinesi, coinvolti nelle proteste e nell'organizzazione a livello nazionale delle attività per diffondere informazioni in modo che i palestinesi a livello globale siano in grado di assumere un ruolo da vigilanti.
Secondo Hassan Kharajeh, un coordinatore della gioventù in Stop the Wall, negli ultimi tempi molti giovani attivisti hanno tenuto manifestazioni della durata di molte ore in solidarietà con i prigionieri palestinesi di fronte alla prigione di Ofer.
Il movimento giovanile palestinese, un movimento popolare di giovani palestinesi nei territori occupati uniti a quelli in esilio in tutto il mondo, ha condotto chiamate alla mobilitazione internazionale e ha lavorato in stretto contatto con i comitati popolari in tutta la Palestina.
In un'intervista Maath Musleh, 26 anni e attivista palestinese residente a Gerusalemme, ha sottolineato che "come in qualsiasi posto nel mondo nel corso della storia i giovani stanno portando avanti movimenti per il cambiamento nella regione, ma non solo".
Palestinesi di tutte le età e provenienza stanno prendendo parte nel contrasto all'occupazione israeliana e sono leader su diversi livelli.
La generazione più giovane sta dirigendo, mobilitando e partecipando alle agitazioni in risposta alla sottomissione del loro popolo al progetto del colono sionista che è Israele e, come molti sostengono, lo stanno facendo a fianco della vecchia generazione.
Giovani palestinesi, che ora sono forse ancora più rinvigoriti da recenti sconvolgimenti nella regione, hanno preso provvedimenti ancor più coordinati al fine di abbattere lo Stato dei coloni; si rendono conto che essi erediteranno la terra che i loro antenati hanno a lungo innaffiato con il sangue, il sudore e le lacrime e saranno i primi a resistere all'occupazione, in prima linea.
Obbligo di resistere
La scelta di quali metodi di resistenza vengono utilizzati, siano armati o disarmati, deve essere lasciata interamente a chi è occupato; ciò che è indispensabile è che ci deve essere una risposta ferma e che la lotta deve continuare fino al raggiungimento della liberazione fisica e mentale.
La mente colonizzata deve essere emancipata, proprio come la terra colonizzata.
L'occupazione israeliana è volutamente umiliante e paralizzante, in modo da accelerare il processo di pulizia etnica, in modo da rendere sempre più difficile per i palestinesi andare avanti giorno per giorno nella propria vita, e per indurli a lasciare la loro patria - ed entrare così a far parte del desolante numero di esuli palestinesi sparsi in tutto il mondo.
Le Nazioni Unite hanno riconosciuto l'importanza del diritto dei popoli all'autodeterminazione, come indicato nella Risoluzione dell'Assemblea generale dell'ONU 3070, che "ribadisce la legittimità della lotta del popolo per la liberazione dalla dominazione coloniale e straniera e sottomissione aliena con tutti i mezzi a disposizione, compresa la lotta armata".
Il popolo della Palestina ha scelto di lottare contro l'ulteriore usurpazione della loro terra d'origine attraverso la resistenza strategica, con tutti i mezzi ritenuti necessari e, nonostante la spietatezza delle violazioni israeliane dei diritti umani fondamentali e il furto della sua terra, continua a rimanere saldo nella sua lotta senza compromessi con l'occupante.
La liberazione della Palestina dalla brutale occupazione israeliana sarà simile a quella del mio nativo Libano del sud - la lotta paziente, di sacrificio, contornata da tanta attesa per la vittoria.
Dagli orrori degli attacchi aerei che attraversavano i nostri villaggi libanesi del sud, per i quali abbiamo perso migliaia di vite, compresa quella di mia zia Hoda Chamseddine, alle innumerevoli case distrutte sopra la testa dei loro abitanti, ai posti di blocco eretti sul nostro suolo: tutto era destinato a suscitare sentimenti di vergogna e impotenza.
Eppure, nonostante la brutalità della conquista israeliana del Libano meridionale, una brutalità paragonabile a quella di un distruttore, la risposta organizzata e costante che ha seguito l'occupazione della nostra terra è un ricordo tangibile e storico, simbolo che noi siamo i protettori unici del nostro popolo, della nostra terra e della nostra dignità.
Dopo aver assistito alla miseria e alla sofferenza del nostro popolo, la lotta di liberazione nazionale contro gli occupanti della nostra terra è cresciuta e ha inghiottito il sud del Libano.
I giovani e i vecchi stavano in piedi, uniti con un pugno alzato di fronte alla militanza insaziabile di Israele e la sua crudeltà - e nel 2000, dopo quasi 22 anni, la lotta contro l'occupante straniero ha prodotto il nostro "Giorno della Liberazione", commemorato ogni anno in tutto il Libano.
La "Festa di Liberazione" della Palestina è in arrivo - e il vasto progetto sionista-coloniale, cioè Israele, lo sa.
Si tratta di una verità trascurata e costante il fatto che queste forti increspature di speranza, come si è visto nel sud del Libano e non solo, incoraggeranno solamente la resistenza all'oppressione.
E in Palestina questo si tradurrà in una rivolta che deve scuotere la terra stessa e riscaldare le masse soggiogate con manti di libertà.
L'obbligo di un popolo oppresso e indigeno di resistere all'occupazione è universale: non solo la resistenza è un diritto, ma essa rimane un dovere legittimo.
Alla fine, tutto ciò che un popolo oppresso ha da perdere nella lotta per la liberazione nazionale sono le sue catene.
Roqayah Chamseddine
giornalista, commentatore e attivista americano-libanese che vive negli USA
Fonte: Electronic Intifada
Traduzione a cura di PalestinaRossa