Carissimi Luca e Giorgio,
uno dei più importanti e interessanti libri di sociologia è «La vita quotidiana come rappresentazione», di Goffmann. Da lì si può comprendere che i nostri comportamenti di tutti i giorni seguono schemi di rappresentazione, appunto.
Per questo in fondo non mi offende troppo essere inserito nel «teatrino tra gli amici della Palestina che contestano la brigata ebraica...», come scrivete riguardo la manifestazione milanese del 25 aprile.
Del resto cosa è più «teatrino» dell'attuale politica italiana, incapace e indisponibile a essere rappresentanza di interessi e valori di classe e quindi costretta alla rappresentazione di un conflitto che si riduce a scontro di potere; e cosa è più «teatrino» di una segretaria generale confederale che rappresenta una finta opposizione al governo (anche il 25 aprile), quando di fatto ha già lasciato passare la cancellazione dell'articolo 18 dello Statuto dei lavoratori.
Ma è abbastanza teatrale anche la rappresentazione di un «quotidiano comunista» troppo spesso all'inseguimento di una nuova soggettività politica, perché incapace (e non solamente impossibilitato dalla mancanza di risorse) di indagine, inchiesta, curiosità...
La contestazione della «brigata ebraica» avviene da diversi anni, e se due giornalisti come voi la vedono solamente come teatrino significa che a noi che la rappresentiamo manca la capacità di comunicare in maniera efficace e diretta il perché di quella contestazione; che i nostri strumenti sono poco utili e poco comprensibili/compresi. E questo ci deve sicuramente spingere a ripensare meglio la forma della nostra comunicazione.
Però le nostre mancanze non dovrebbero essere un alibi per non capire che quella nostra rappresentazione non è semplicemente la coazione a ripetere di esagitati «amici della Palestina», ma la contestazione di un'operazione ideologica. Non voglio qui aprire una discussione storica sull'esperienza di una «brigata ebraica» che ha combattuto nell'esercito inglese.
E' però evidente che portare il 25 aprile le bandiere israeliane e uno striscione che recita che anche i «sionisti» hanno liberato l'Italia, significa provare ad assolvere l'attuale politica israeliana e metterla dalla parte dei «buoni», dei liberatori - e dato che molti di quei soldati hanno poi partecipato alle guerre contro i palestinesi, l'operazione ideologica è ai nostri occhi decisamente intollerabile. E non è indifferente che chi sfila dietro quelle bandiere non si preoccupi minimamente di essere accompagnato da personaggi come Podestà, che nella sua giunta ha elementi piuttosto vicini al fascismo e che anche per questo continua a concedere spazi e sale alle destre fasciste milanesi.
Non sono tra quelli che vi considera «avversari» per la vostra battuta - che trovo comunque infelice - ma mi piacerebbe che una volta provaste a fare una piccola inchiesta giornalistica su quello che si muove a Milano nella solidarietà con il popolo palestinese, scoprendone certamente i tanti limiti, ma anche la grandissima generosità, l'impegno, la determinazione a tenere ferma una bandiera che - almeno fino ad oggi - continua a rappresentare un popolo oppresso, quindi un po' tutti i popoli oppressi....
Piero Maestri
Lettera al Manifesto