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L’ombra dei due stati

Era marzo 2009 quando alla conferenza  internazionale di Sharm el Sheikh si annunciava l’ammontare stanziato per la ricostruzione a Gaza, collegando l’azione alla ripresa del processo di pace. Quasi 4,5 miliardi di dollari la somma raccolta alla conferenza. Un impegno concreto chiarito dagli 87 tra Paesi e organizzazioni finanziarie presenti al vertice.

Il segretario di Stato americano, H. Clinton affermava: “La risposta alla crisi di Gaza non può essere disgiunta dai più ampi sforzi per arrivare a una pace complessiva e l’amministrazione Obama è decisa a impegnarsi con forza perché israeliani e palestinesi riescano a convivere pacificamente sul principio due popoli, due Stati”. Il presidente del consiglio Silvio Berlusconi  prometteva stanziamenti per cento milioni di dollari, spalmati in quattro anni per la sola ricostruzione di Gaza. Il premier sottolineava la necessità di creare due Stati, quello palestinese accanto a quello israeliano, che vivano in pace e sicurezza con dei governi di unità nazionale”. “Gli israeliani – dichiarava – si diano un governo capace di volere la pace e di assumersi i sacrifici che la pace comporta”.

HP continuerà la manutenzione del sistema di controllo ai checkpoint fino alla fine del 2015

HP ha ottenuto dal Ministero Israeliano della Difesa l'incarico di provvedere alla manutenzione del sistema biometrico Basel nei posti di blocco in Cisgiordania e Gaza fino alla fine del 2015. 

Alla richiesta di libertà di informazione avanzata da Who Profits, il Ministero Israeliano della Difesa ha risposto che HP ha ottenuto l'incarico di provvedere alla manutenzione del sistema biometrico Basel nei posti di blocco in Cisgiordania e Gaza, fino alla fine del 2015.

Sul boicottaggio accademico di Israele

L’ostruzione sistematica del sistema educativo palestinese non viola soltanto i diritti umani dei soggetti coinvolti ma mina anche alle radici la possibilità di sviluppo della società palestinese nel suo insieme.

Uno dei punti scottanti dell’acceso dibattito sul boicottaggio accademico di Israele[1] è che la cultura e le istituzioni accademiche rappresentano uno dei pochi luoghi simbolici dove è possibile un dialogo vero e costruttivo. La libertà accademica e di parola, si sostiene, può rappresentare per gli intellettuali israeliani il punto di forza per premere per il cambiamento della politica israeliana e quindi anche per mettere fine all’occupazione del territorio palestinese. Ciò che probabilmente sfugge è che senza una reale libertà di parola anche per gli intellettuali palestinesi e senza una libertà di istruzione per gli studenti palestinesi non si può concepire un dialogo costruttivo che porti ad una soluzione a lungo termine del conflitto. Se la libertà di espressione e di educazione significa qualcosa, deve valere per tutti.

Il boicottaggio, un’arma che fa paura a Israele

L’appello di centinaia di accademici americani a rompere le relazioni con le università israeliane e le recenti decisioni di alcune banche europee di interrompere gli investimenti nelle banche israeliane che finanziano le colonie illegali in Cisgiordania, dimostrano che il boicottaggio economico, istituzionale ed accademico di questo Stato dell’apartheid potrebbe essere molto efficace alfine di spingerlo ad accettare di applicare innanzitutto le risoluzioni internazionali.

Le azioni di boicottaggio si stanno moltiplicando, in Europa ed anche negli Stati Uniti, decine di aziende pubbliche e private hanno iniziato ad interrompere i loro legami con le compagnie israeliane, in particolare quelle che sono nelle colonie. L’arma del boicottaggio è pacifica e non violenta, è una partecipazione internazionale all’applicazione del diritto internazionale, il suo obiettivo è fare pressione sul governo israeliano. Gli israeliani devono comprendere che gli alleati di ieri non possono continuare a sostenere la sua politica aggressiva e colonialistica, una politica che impedisce qualsiasi avanzamento dei negoziati di pace israelo-palestinesi.

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