“Vi chiedo di rimanere gli stessi
per quelli che sono in esilio e quelli che sono rimasti.
Il tempo passa e se tornassi a casa mia
La dipingerei di hennè per i miei cari”
(Canzone palestinese)
La gente chiama “la catastrofe, la creazione di Israele, il 15 maggio 1948. Commemoriamo la Nakba del 1948 (in arabo catastrofe) rimarcando con forza il Diritto al Ritorno per ogni palestinese che voglia ritornare nella propria terra, perché è la speranza del ritorno ciò che ha permesso alle masse dei rifugiati di resistere alla propria crisi d'identità ed è quella che mantiene la determinazione alla lotta e al sacrificio.
Sono trascorsi 71 anni da quei giorni sanguinosi del 1948 ma i tragici avvenimenti di allora segnano ancora la vita di milioni di palestinesi. Per noi ricordare la Nakba non è solo una ricorrenza per onorare le vittime, commemorare la Nakba significa anche sostenere oggi la Resistenza e l'unità di tutto il popolo palestinese, della Cisgiordania, di Gaza, di Gerusalemme, dei territori del '48 e della diaspora, ma significa anche ricordare i prigionieri, poiché la loro liberazione rappresenta uno dei punti cardine su cui si uniscono le forze della Resistenza. Il popolo palestinese seppe presto alzarsi e combattere per riprendere ciò che gli era stato sottratto con la forza.
Ma la pulizia etnica fu progettata ed attuata a partire dal Congresso Sionista Mondiale tenutosi a Basilea nel 1897, durante il quale fu proposta per la prima volta l’idea di costituire uno Stato in Palestina. I rabbini di Vienna inviarono due loro rappresentanti per verificare se il paese fosse adatto a questa impresa; le due persone sintetizzarono il risultato delle loro esplorazioni in questo telegramma: “la sposa è bella, ma sposata a un altro uomo”. Con disappunto avevano scoperto che la Palestina, sebbene avesse tutti i requisiti per diventare lo Stato ebraico che i sionisti desideravano, non era, come lo scrittore Israel Zangwill ebbe più tardi ad affermare, “una terra senza un popolo per un popolo senza terra”.