Palestina

NASCE IL 18 FEBBRAIO NUOVO GOVERNO PALESTINESE

Reazione irritata di Israele all'annuncio della riconciliazione nazionale palestinese e della nascita di un governo Fatah-Hamas, incaricato di preparare le elezioni presidenziali e legislative nei Territori occupati
 

Gerusalemme, 07 febbraio 2012

Commento soddisfatto del presidente del Parlamento europeo, Martin Schulz, cautela dell’Amministrazione Obama, condanna senza mezzi termini di Israele. «Pare che Abu Mazen abbia abbandonato la via della pace per unirsi a Hamas». E’ stata immediata la reazione del premier israeliano Benyamin Netanyahu all’accordo raggiunto a Doha da Fatah e il movimento islamico Hamas. Accordo che vedrà i palestinesi annunciare il 18 febbraio al Cairo un governo di unità nazionale, con a capo il presidente dell’Anp Abu Mazen, incaricato di organizzare nei prossimi mesi elezioni legislative e presidenziali.

«La pace e Hamas non vanno assieme», ha tuonato Netanyahu lasciando intendere che Israele risponderà alla formazione di un governo palestinese con al suo interno esponenti di Hamas. Si prevede il boicottaggio israeliano del futuro esecutivo e un nuovo blocco dei fondi palestinesi, decine di milioni di dollari ogni mese, in dazi doganali e tasse che lo Stato ebraico raccoglie per conto dell’Autorità nazionale palestinese, sulla base degli accordi di Oslo.

Appello degli attivisti israeliani per la fine del greenwashing

Il movimento di boicottaggio interno ad Israele si oppone all'abuso da parte del Keren Kayemeth LeIsrael-Jewish National Fund (JNF-KKL) della tradizione ebraica e dei suoi valori, così come è avvenuto nel corso della giornata di Tu B'Shvat. Il JNF tenta quotidianamente di nascondere i crimini commessi mostrando l'immagine di un'organizzazione ecologicamente consapevole.

Nessuna modalità usata per piantare gli alberi, soprattutto se fatto sulla terra palestinese rubata, potrebbe cancellare la complicità del JNF con l'occupazione e l'apartheid.

Appello di Obeidat per un confronto popolare sulla normalizzazione

Il 2 febbraio lo scrittore e analista politico Rasim Obeidat ha parlato agli studenti di Gerusalemme circa la normalizzazione, le strategie e i meccanismi per affrontarla. A questo proposito, ha detto Obeidat, «dall'inizio del conflitto, il popolo palestinese ha dovuto prestare sempre più attenzione a livello popolare e nazionale rispetto ai rischi di normalizzazione e ai tentativi per imporla al nostro popolo, spingendo verso l'accettazione di Israele come un'entità naturalmente e giustamente insediata sulla nostra terra e sulle rovine e le tragedie del nostro popolo».

Egli ha sottolineato che l'etica e i valori popolari arabi hanno giocato un ruolo importante nei confronti di coloro che cercavano di vendere la loro terra all'occupante, e hanno continuato a svolgere un ruolo cruciale nella costruzione della sensibilizzazione pubblica grazie al confronto con le politiche reazionarie che mirano a importare la normalizzazione nella società civile palestinese.

Chi ha detto che la resistenza palestinese è morta?

Per decenni, la Palestina è stata al centro di quasi tutte le proteste del mondo arabo. E' stato uno strumento per le masse, frustrate dai propri regimi, che ha permesso di protestare senza subire repressione dai propri governi e al tempo stesso si è trattato dell'attrazione che i regimi concedevano alle loro masse frustrate. Ma la causa palestinese è stata anche il veicolo per la mobilitazione e un campo di addestramento per l'organizzazione politica, in seguito diventata utile per tutti gli attivisti.

Per essere chiari, nulla di ciò serve a dire che il coinvolgimento e la solidarietà non fossero autentici; il più delle volte lo erano davvero. Tuttavia, le proteste per la Palestina o contro Israele sono state anche strumenti per le popolazioni dei paesi arabi che in questo modo potevano manifestare la propria insoddisfazione in un modo politicamente "sicuro", dato il carattere repressivo dei regimi in cui vivevano.

Recentemente, un'amica siriana con cui discutevo circa le ultime proteste mi ha ricordato che la sua prima manifestazione da bambina era stata per la Palestina - in realtà la maggior parte delle proteste a cui aveva partecipato o assistito crescendo da araba occidentale erano a favore della Palestina. Io ho annuito e sorriso, per nulla sorpresa. La realtà è che la Palestina, nel bene o nel male, era la questione per la quale gli arabi - sia residenti nei paesi arabi, sia in diaspora - hanno organizzato la maggior parte delle proteste.

 

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Per sviluppare un lavoro di classe nel sostegno alla lotta di liberazione della Palestina e degli altri popoli oppressi e aggrediti dall'imperialismo, oltre alle sterili e dannose concezioni del pacifismo e dell'equidistanza tra aggressori e aggrediti che hanno in gran parte contribuito ad affossare il movimento contro la guerra nel nostro paese negli ultimi anni, si è deciso di fondare l'organismo nazionale Fronte Palestina.

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