Razzismo

Il voto delle Nazioni Unite per riconoscere la Palestina legittima uno status quo razzista.

C’è un’amara ironia nel riconoscimento da parte delle Nazioni Unite, in occasione dell’anniversario del piano di partizione del 1947, di uno Stato palestinese di gran lunga più ridotto.

Il 29 novembre 1947, l’Assemblea Generale delle Nazioni Unite votò la ripartizione della Palestina tra autoctoni palestinesi e coloni ebrei nella stragrande maggioranza di origine europea. Il Piano di Partizione concesse ai coloni (un terzo della popolazione), il 57% del territorio e accordò agli abitanti nativi (due-terzi della popolazione) il 43%. Il 30 novembre i coloni intrapresero la conquista militare della Palestina, espellendo centinaia di migliaia di palestinesi. Il 14 maggio 1948 dichiararono la costituzione del loro stato. Dei 37 ebrei firmatari della “Dichiarazione della Fondazione dello Stato di Israele”, solo uno era nato in Palestina, il marocchino Behor Chetrit. I palestinesi ricusarono il Piano in quanto li aveva espropriati delle loro terre. Per porre fine all’espulsione intervennero gli eserciti arabi, ma non riuscirono a impedire che centinaia di migliaia di palestinesi fossero scacciati. I coloni conquistarono il territorio assegnato loro dal Piano di Partizione e più della metà di quello che era stato attribuito ai palestinesi.

A proposito di soluzioni politico-istituzionali del conflitto in Palestina

Il presente articolo è costituito da materiali già pubblicati dall’autore nel bollettino dell’Associazione di solidarietà internazionale “Rete Radiè Resch” nel dicembre 2009 e su altri periodici

Per affrontare la questione del tipo di assetto politico-istituzionale da dare al territorio palestinese è necessario fare alcune premesse:

  1. Nel territorio della Palestina mandataria esiste oggi uno Stato unico, lo Stato d’Israele, basato su una dottrina di esclusione/inclusione, la dottrina sionista, sulla quale si è creato un sistema di apartheid che condiziona ogni aspetto della vita quotidiana sia degli esclusi, i palestinesi, sia degli inclusi, gli israeliani, e di cui il muro di separazione è solo la manifestazione più apparente;

Non lascerò la musica per combattere i miei fratelli arabi

Omar Saad, un giovane musicista di al-Mughar – un villaggio in Galilea – ha ricevuto una lettera di arruolamento nell’esercito israeliano. Sì, perché a differenza degli altri palestinesi, i drusi hanno l’obbligo di prestare il servizio militare (dopo che, nel 1956, la legge sulla coscrizione obbligatoria è stata resa applicabile anche a questa categoria di persone).

Recenti ricerche hanno dimostrato che circa i due terzi della popolazione drusa in Israele preferirebbe non prendere le armi, se ne avesse la possibilità. Omar è uno di loro; nella lettera seguente, inviata al ministro della Difesa israeliano Ehud Barak, spiega le proprie motivazioni (qui il sito di supporto a Omar).

La kermesse e l'antikermesse dell'ipocrisia

Che la maggior parte delle comunità ebraiche italiane siano sempre pronte a difendere a spada tratta lo stato di Israele è ormai evidente, così come sono sempre pronte a creare confusione e a diffondere menzogna sulle malefatte sioniste, certe del potere loro conferito dalla storia recente e consolidato nei decenni.

E ancora si sa che, come in qualsiasi manifestazione che si proponga, le comunità ebraiche ormai sono pronte a benedire o meno questa o quell'altra iniziativa, e in questo caso lo hanno fatto con il festival della cultura palestinese che si terrà a Milano nei primi giorni di ottobre, dalla comunità ebraica accolto con simpatia, perché a loro dire non intaccherà alcun tipo di interesse sionista. Tutto ciò si sapeva, ma non era ancora evidente il livello e la capacità trasversale dell'influenza che questi soggetti svolgono su qualsiasi organo politico o culturale.

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Per sviluppare un lavoro di classe nel sostegno alla lotta di liberazione della Palestina e degli altri popoli oppressi e aggrediti dall'imperialismo, oltre alle sterili e dannose concezioni del pacifismo e dell'equidistanza tra aggressori e aggrediti che hanno in gran parte contribuito ad affossare il movimento contro la guerra nel nostro paese negli ultimi anni, si è deciso di fondare l'organismo nazionale Fronte Palestina.

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