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"IL PROCESSO DI PACE? ISRAELE GIOCA CON LE PAROLE MA NON FA PASSI AVANTI"

Da "L' UNITA'" di sabato 28 gennaio 2012

Intervista a Saeb Erekat "Il processo di pace? Israele gioca con le parole ma non fa passi avanti"

Il capo negoziatore Anp: «A territori ceduti ne devono corrispondere altri che entrano a far parte dello Stato di Palestina. Altrimenti la trattativa è una farsa»

Si è seduto e alzato più volte dai tanti "tavoli della pace" che hanno contrassegnato la crisi infinita israelo-pales tinese.

È stato così anche nei giorni scorsi ad Amman, nel round negoziale fortemente voluto da re Abdallah II di Giordania. «La nostra volontà di negoziare non è mai venuta meno, ma non possiamo accettare che ogni volta Israele si fermi all`enunciazione di principi senza mai fare un passo avanti nel merito dei tanti contenziosi aperti, a cominciare dai confini». A parlare è Saeb Erekat, capo negoziatore dell`Autorità nazionale palestinese (Anp).

La comunità internazionale ha letto il suo alzarsi dal tavolo negoziale di Amman come il fallimento delle trattative israelo-palestinesi.

«Se fossimo stati animati da una volontà di rottura non avremmo accettato di tornare al tavolo del negoziato. In discussione non è la volontà palestinese di ricercare il dialogo, il problema è un altro...».

Quale? «Anche ad Amman il rappresentate israeliano si è limitato ad una enunciazione verbale di principi generici, senza presentare documenti scritti che entrassero nel merito dei contenziosi aperti. Un simile atteggiamento non può essere "spacciato" come volontà di pace. È solo fumo negli occhi della comunità internazionale».

Le autorità israeliane sostengono che il negoziatore dello stato ebraico, Yitzhak Molko, le avrebbe illustrato la posizione del governo Netanuyahu sulla questione dei confini...

«Si gioca con le parole. Noi avevamo chiesto un documento scritto che attestasse le posizioni israeliane. È un fatto di sostanza, non di forma. Questa richiesta è stata lasciata cadere. Voglio essere ancora più esplicito: non chiedevamo un documento dettagliato, ma quanto meno una presa di posizione che mostrasse la disponibilità di Israele ad accettare un riferimento ai confini precedenti la guerra dei Sei Giorni del 1967 come base di discussione...».

Confini che Netanyahu, e non solo lui, non accetta perché metterebbero a rischio al sicurezza d`Israele...

«Quel riferimento doveva essere la base di una discussione, non il suo sbocco finale. Quello su cui abbiamo sempre insistito è che alla base di una trattativa degna di questo nome debba esserci il principio della reciprocità...».

Vale a dire? «I confini possono essere, sia pur in termini limitati, modificati rispetto a quelli antecedenti la Guerra dei Sei giorni, ma a territori ceduti devono corrispondere territori che entrano a far parte dello Stato di Palestina, e tutto ciò deve scaturire da un accordo tra le parti. Il principio di reciprocità e agli antipodi dell`unila- teralismo che continua a caratterizzare, nei fatti, la politica d`Israele: guadagnare tempo, trascinando all`infinito il negoziato, e intanto determinare sul terreno una serie di fatti compiuti che finiscono per svuotare di ogni significato concreto la trattativa».

Un esempio concreto di questa volontà che lei imputa a Israele? «È la crescita degli insediamenti, in Cisgiordania come a Gerusalemme Est. Non siamo da soli nel chiedere a Israele una moratoria nella costruzione-ampliamento degli insediamenti nei territori occupati. La risposta è sempre stata negativa. Anche quando a chiederlo è stato il presidente degli Stati Uniti d`America».

A proposito degli Usa: uno dei più accreditati candidati repubblicani alle presidenziali di novembre, Mitt Romney, ha sostenuto pubblicamente che i palestinesi non vogliono una soluzione fondata su due Stati, ma vogliono eliminare Israele.

«Al signor Romney vorrei chiedere su quali basi, su quali documenti, si è formato questa convinzione. Per chiarirsi le idee sulla nostra determinazione, posso solo consigliargli di parlare non con pericolosi antisionisti, ma con l`ex presidente George W.Bush e la signora Rice...Certe posizioni aiutano soltanto i nemici della pace».

Per tornare alle trattative. Israele vi accusa di voler imporre i tempi del negoziato.

«Il fattore tempo è decisivo. Perché senza indicare i tempi del negoziato, il dialogo non ha un solido ancoraggio. È stato lo stesso presidente Obama a parlare di questo, e come lui tutti i maggiori leader europei. Un negoziato non può durare in eterno, altrimenti non di negoziato si tratta ma di una farsa. E nessun dirigente palestinese, neanche il più disposto al compromesso, può esserne complice. Tutti devono essere consapevoli che in Medio Oriente il tempo non lavora per la pace».

UMBERTO DE GIOVANNANGELI

 

Informazioni sul Fronte Palestina

Per sviluppare un lavoro di classe nel sostegno alla lotta di liberazione della Palestina e degli altri popoli oppressi e aggrediti dall'imperialismo, oltre alle sterili e dannose concezioni del pacifismo e dell'equidistanza tra aggressori e aggrediti che hanno in gran parte contribuito ad affossare il movimento contro la guerra nel nostro paese negli ultimi anni, si è deciso di fondare l'organismo nazionale Fronte Palestina.

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