INTERVENTO ALLA CONFERENZA SULLA PALESTINA DI FIRENZE
(7 SETTEMBRE 2013)
Mentre l'entità sionista occupa l'85% dei territori della Palestina storica, il 45,7% del popolo palestinese è costretto a vivere nei campi profughi dei paesi arabi vicini (Giordania, Siria e Libano) o in altri paesi.
Parlare di diritto al ritorno dei profughi palestinesi non significa solo affrontare una delle contraddizioni che vive il popolo palestinese, significa soprattutto operare una scelta politica, significa scegliere da che parte stare: dallo parte del sionismo e dell'imperialismo o dalla parte della Resistenza Palestinese. Questo perchè, come sottolineato anche dal segretario generale del Fronte Popolare di Liberazione della Palestina Sa'adat in una lettera dal carcere per il 25° anniversario del lancio dell'Intifada del 1987, il diritto al ritorno è il nocciolo della causa nazionale palestinese. Esso è insieme alla rivendicazione della Palestina “dal fiume al mare”, di Gerusalemme capitale e della liberazione dei prigionieri, uno dei pilasti storici su cui si è sviluppata la lotta per l'autodeterminazione del popolo palestinese dopo la Nakba.
Rivendicare questo diritto è lo spartiacque tra chi, scegliendo la strada dei cosiddetti negoziati, sceglie il campo della compromissione con gli occupanti e dell'asservimento ai piani dei sionisti e degli imperialisti statunitensi ed europei in tutta l'area mediorientale e chi, invece, sceglie il campo della Resistenza e mantiene nei propri occhi e nelle proprie azioni chiaro l'obiettivo della liberazione del popolo palestinese. Origine di questo solco sono gli accordi di Oslo del '93 con cui è stata formalizzata la frantumazione della società palestinese dividendola in entità separate e ha marginalizzato la maggioranza del popolo palestinese escludendo i profughi dalla lotta a tutto vantaggio dell'occupante. Con Oslo, l'Organizzazione per la Liberazione della Palestina si è svuotato del suo ruolo storico e ha perso il progetto di liberazione nazionale. Così ha preso forza quella parte del campo politico palestinese pronta a mercanteggiare con gli imperialisti e i sionisti e a trasformare la lotta anticoloniale e rivoluzionaria in un mercato al ribasso, nel quale i palestinesi sono assurdamente costretti a legittimare i bantustan in cui sono stati rinchiusi e a rinunciare alle proprie rivendicazioni nazionali. Tale mercanteggiamento continua ogni giorno assieme alla costruzione di nuove colonie, agli espropri, alla pulizia etnica, alle incarcerazioni e alle uccisioni.
La totale liberazione della Palestina e il ritorno dei profughi sono due questioni inscindibili che devono essere inquadrate all'interno della lotta palestinese come lotta antimperialista e rivoluzionaria per l'autodeterminazione dal colonialismo. Se la si priva di queste caratteristiche e gli si vuole negare questo ruolo, decontestualizzandola e depoliticizzandola, si spiana la strada agli imperialisti statunitensi ed europei e ai sionisti non solo in Palestina, ma in tutto il Medioriente.
La lotta del popolo palestinese ha infatti sempre rappresentato un faro per tutti i popoli oppressi, in particolare in Medioriente. L'esempio di Resistenza, che in più di 60 anni di occupazione, questo popolo ci ha dato, acquista ancora più importanza oggi che tutti i popoli del Medioriente devono fare direttamente i conti con i piani imperialisti USA ed europei. Infatti la questione palestinese non può essere disgiunta dai venti di guerra che soffiano sulla Siria e portano la loro morte e distruzione anche in Iraq e Libano. Sono gli stessi palestinesi dei campi profughi in Siria e in Libano a rendere chiaro che la lotta dei palestinesi si inserisce nella contraddizione tra imperialismo e popoli oppressi che proprio in Siria si sta sviluppando con più durezza. I palestinesi in Siria erano più di mezzo milione e da quando è iniziata, a opera dei ribelli-mercenari, la sollevazione filo-imperialista e ora quasi 1000 sono morti e moltissimi sono fuggiti in Libano, diventando profughi per la seconda volta. Proprio uno dei più grandi campi profughi in Siria, quello di Yarmouk, dove vivevano 150 mila palestinesi, è stato più volte colpito dai mercenari filo-imperialisti, pagando il prezzo di essersi schierati al fianco del popolo siriano contro le mire imperialiste-sioniste che vedono nei mercenari il loro braccio armato.
Il Fronte Popolare di Liberazione della Palestina - Comando Generale, che già in Siria ha visto quest'anno l'assassinio di molti compagni per mano dei mercenari e ha subito il 23 agosto in Libano, a sud di Beirut, un attacco dell'aviazione sionista contro il suo quartier generale.
E' uscito recentemente un comunicato del Fronte Popolare di Liberazione della Palestina che, facendo eco a ciò che già era stato espresso a febbraio dalla compagna Leyla Khaled in Turchia, condanna l'aggressione degli imperialisti americani ed europei in Siria. E' chiaro che la partita che si sta giocando in Siria coinvolge tutti i popoli e i soggetti politici sinceramente antimperialisti.
Fermarsi dunque al giudizio sulla natura e le politiche, attuali e storiche, degli Al Assad e del Partito Baath in Siria vuol dire guardare al dito e non alla luna. Essi non sono certo attaccati per quanto hanno di negativo, ma per quanto hanno di positivo. Si può anche legittimamente dire che questo positivo è inferiore al negativo, ma tanto basta a farne una preda ambita dagli imperialisti e dai sionisti, specie se lo confrontiamo ad un campo arabo prostrato e collaborazionista. La Siria è infatti l'ultimo paese arabo indipendente, dopo le guerre all'Iraq e alla Libia. Un paese dove la condizione dei profughi palestinesi era migliore rispetto a quella di tutti i paesi della regione. Un paese da distruggere anche perchè sostenitore delle rivendicazioni storiche del popolo palestinese, mai pacificatosi con Israele dopo l'invasione e l'occupazione del Golan, ospitante le sedi e le rappresentanze di gran parte della Resistenza Palestinese e che supporta il principale gruppo della Resistenza Libanese, Hezbollah, autore della sconfitte israeliane sul suolo libanese nel 2000 e nel 2006.
Quella che da tre anni si sta consumando sulla terra siriana è infatti una guerra per procura che gli imperialisti occidentali, in primis gli Usa, hanno appaltato a mercenari provenienti da tutto il mondo a cui viene garantita legittimità politica, armi, sostegno economico e militare, campi di addestramento ecc. Per capire quali interessi questi assassini servono basti pensare che durante l'ultima ricorrenza della Nakba in Siria, uno delle loro più importanti fazioni, il cosiddetto Esercito Libero Siriano, ha sparato sulla manifestazione commemorativa palestinese al campo di Yarmouk, provocando un numero imprecisato di vittime.
In prima linea e uniti nel progetto della distruzione-spartizione della Siria, vi è il blocco imperialista occidentale capitanato da USA e Francia, di cui vi fa ovviamente parte l'Italia, che ospita le conferenze di guerra dei cosiddetti “Amici della Siria”, costituisce, con le basi militari sul proprio territorio, la porta-aerei della Nato nel Mediterraneo e ha già inviato due navi da guerra per rafforzare il proprio contingente occupante nel Sud del Libano.
Al fianco di tale blocco spicca Israele, distintasi nel sostenere la menzogna di guerra dell'utilizzo delle armi chimiche da parte delle forze di Assad lo scorso 21 agosto. E, assieme a tali potenze imperialiste e colonialiste, emergono i loro tradizionali alleati nell'area mediorientale, ovvero le reazionarie petromonarchie del Golfo e la Turchia, rinverdita di neo-ottomanesimo dal boia Erdogan.
Sono i criminali che il 26 agosto si sono riuniti in Giordania in un vero e proprio consiglio di guerra, a decidere come bombardare il popolo siriano. Un fronte di forze non privo di contraddizioni interne, ma complessivamente determinato a procedere nella campagna antisiriana.
E' la crisi strutturale del capitalismo che trova nella guerra lo strumento per ripartirsi le risorse e distruggere i concorrenti economici. La Siria è finita da anni nel mirino degli imperialisti Usa ed europei perchè è una tappa obbligata per attaccare successivamente l'Iran, obiettivo principale dei sionisti per mantenere il dominio nell'area. I guerrafondai yankee e i loro soci europei vogliono mettere le mani sulle vie energetiche che passano sul suolo siriano anche per indebolire i rivali russi e cinesi. Damasco sta insomma ostruendo la strada del “Grande Medio Oriente”, già teorizzato dagli strateghi di Bush e oggi fedelmente portato avanti dal suo degno successore Obama.
Un disegno strategico nel quale la difesa e il potenziamento di Israele devono essere la priorità storica e l'asse politico dell'intervento americano e atlantico per l'area e la liquidazione della causa palestinese è definitiva.
Ma l'aggressività degli Usa e della Francia, motivata dalla loro decadenza economica sul piano globale, e dei regimi reazionari mediorientali, alla ricerca di espansione per saziare i crescenti appetiti capitalistici delle proprie classi dominanti, ha dovuto tener conto dei nuovi rapporti di forza a livello globale determinati dall'ascesa della Russia e della Cina.
Contemporaneamente però la guerra alla Siria, sia essa condotta per procura, tramite i cosiddetti ribelli, o sia condotta direttamente, tramite l'intervento militare degli eserciti imperialisti, rappresenta una pesantissima accelerazione nello scontro tra le vecchie e le nuove potenze globali, nella prospettiva di un nuovo conflitto mondiale a cui il sistema imperialista sta portando l'umanità, se esso non sarà abbattuto dalla forza dei popoli e delle classi oppresse.
E' chiaro che queste contraddizioni travalicano i confini siriani e coinvolgono tutti i popoli che lottano per la loro autodeterminazione, in primis il popolo palestinese, il quale si trova storicamente e attualmente a fronteggiare le stesse forze che conducono la campagna di attacco alla Siria. La guerra che ci combatte in Siria è la stessa che si combatte in Palestina: quella dei popoli oppressi contro il colonialismo e l'imperialismo. L'aggressione alla Siria è anche aggressione alla Palestina e la solidarietà e l'appoggio alla Resistenza del popolo palestinese non può che comprendere la solidarietà e l'appoggio alla Resistenza del popolo siriano.
Ma questa offensiva è condotta anche contro di noi, contro i lavoratori e le masse popolari dei paesi da cui l'aggressione parte e si sviluppa. Se la guerra nel senso pieno del termine è la risposta che sul fronte esterno la grande borghesia dà alla crisi, sul fronte interno essa trasforma tutta la sua politica in una sorta di guerra alle condizioni di vita degli sfruttati. Innanzitutto poiché la guerra sul fronte esterno viene pagata materialmente dai lavoratori e dalle classi oppresse anche nel nostro paese, basti vedere le spese militari che crescono a dismisura, mentre tutta la spesa sociale viene massacrata. Basti pensare agli F-35, alla cui costruzione partecipa il monopolio italiano Finmeccanica, uno dei principali partner del complesso bellico israeliano nella costruzione di droni, ai 21 miliardi per il jet eurofighter, all'aumento di 5 miliardi e mezzo totali per gli armamenti rispetto al 2012. Poi perchè l'adeguamento del capitalismo imperialista agli affari di guerra viene fatto interamente pagare ai lavoratori, basti vedere la ristrutturazione del gruppo Fiat, con la creazione di Fiat Industrial e il legame strategico con Chrysler - entrambe grandi fornitrici di componenti per i mezzi dell'esercito sionista - mentre in Italia Marchionne schiacciava la condizione degli operai e procedeva a licenziamenti di massa. E infine, perchè la crisi del capitalismo lo porta a livello generale ad aggravare ferocemente la sua natura sfruttatrice e predatoria, di cui la guerra è lo sviluppo strategico, ma nella quale rientrano anche progetti devastanti come quello del Tav, non a caso oggi portati avanti contemporaneamente in Italia e in Israele, dov'è la ditta italiana Pizzarotti a fare lauti profitti, costruendo le linee ad alta velocità nei territori occupati.
Fiat, Tav... anche se non lo volessimo tali argomentazioni ci riportano in qualche misura a Torino e non è un caso che la borghesia imperialista del nostro paese e quella del regime sionista hanno scelto uno dei maggiori centri del capitalismo industriale italiano per ribadire la loro alleanza strategica economico-politica-militare.
Noi invece dobbiamo ribadire, in antagonismo, la nostra identità con la lotta del popolo palestinese e di tutti i popoli che resistono alle guerre dell'imperialismo, in primis, in questo momento, il popolo siriano. Solo l'unità e la forza delle classi sfruttate e dei popoli oppressi può fermare la barbarie e conquistare un mondo senza guerra e oppressione.
Ecco perchè intendiamo contribuire al percorso di cui questa discussione fa parte, collocando la Palestina nel contesto della tendenza alla guerra imperialista a livello mediorientale e globale, sviluppando la solidarietà di classe e non quella meramente umanitaria, procedendo, come già detto a Milano nello scorso convegno, dalla solidarietà alla lotta internazionalista.
E con questi contenuti che, a nostro avviso, andrà caratterizzata la manifestazione del 30 novembre e il percorso di iniziative che pensiamo sia giusto organizzare in vista di questa scadenza nelle diverse realtà territoriali da cui proveniamo.
Compagne e compagni del Collettivo Tazebao
per la propaganda comunista