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JOE SACCO: “PALESTINA.UNA NAZIONE OCCUPATA”, “GAZA 1956.NOTE AI MARGINI DELLA STORIA”

“I vecchi moriranno e i giovani dimenticheranno.” Certamente quei vecchi sono morti, da parecchio ormai, ma i giovani non hanno dimenticato.

Roma, 12 febbraio 2012

(immagine dal sito www.bbc.co.uk)

“I vecchi moriranno e i giovani dimenticheranno.” Pronunciata in un tempo che forse per alcuni è solo un passato lontano, questa frase è la risposta ad una domanda: quale sarebbe stato il destino dei palestinesi che avevano perso la loro terra? Una risposta venne e fu: “I vecchi moriranno e i giovani dimenticheranno.” Certamente quei vecchi sono morti, da parecchio ormai, ma i giovani non hanno dimenticato. Perché le radici, le origini, il senso di identità e di appartenenza ad un popolo, difficilmente si dimenticano. Che i giovani, i vecchi e persino i bambini non abbiano dimenticato lo racconta in un modo originale ma efficace come non mai il fumettista maltese Joe Sacco. Due sono i libri dedicati da Joe Sacco alla Palestina. Scritti nell’arco di qualche anno di distanza. Acquistando i due tomi sulla Palestina, rispettivamente “Palestina. Una nazione occupata” e “Gaza 1956.

Note ai margini della storia”, verrebbe da pensare che certo sono spessi ma che in fondo si tratta di fumetti, pertanto la lettura sarà veloce, forse perfino indolore. Ma non è così perché le immagini e le parole che escono dalla bocca dei personaggi disegnati dal nostro autore hanno la capacità di coinvolgere il lettore con tutta la loro forza. E’ la fine del 1991 quando Sacco si reca in Palestina, dove vi rimarrà per due mesi fino all’inizio del 1992. Un viaggio che parte dall’Egitto e finisce con la visita al campo profughi di Jenin. Sono passati 4 anni dall’inizio della Prima Intifada e i suoi effetti si fanno sentire in ogni aspetto della vita palestinese. Appena arriva in Palestina Sacco si incontra- scontra con i racconti di uomini e donne che vogliono dire la loro e spesso le loro testimonianze terminano con una domanda: “racconterà la mia storia?”.  Una domanda che ha insieme della speranza e della disperazione e che alcuni ormai hanno smesso di fare: “mi hanno già intervistato più volte -racconta una donna, profuga di Balata, che ha perso due figli ed il marito -, ma intanto a che serve? Non è servito a nulla finora.”   Alle testimonianze di chi ha perso uno o più familiari si aggiungono quelle di chi è stato arrestato, di chi fatica a trovare lavoro e di chi ha perso l’unica fonte di sostentamento che aveva, gli ulivi. A proposito del carcere, durante l’intifada, racconta Sacco, è quasi impossibile non imbattersi in un palestinese che non vi sia stato. Gli interrogatori, raccontano alcuni, sono spesso violenti e mirati ad estorcere confessioni, gli arresti amministrativi sono all’ordine del giorno e i motivi per cui si viene arrestati sono spesso ignorati dagli stessi prigionieri. La mancanza di lavoro è conseguenza di un’economia strozzata dall’impossibilità di  avere il controllo su molte risorse, soprattutto quelle idriche, dalla difficoltà ad ottenere permessi necessari per trasportare le merci o esportarle e dai problemi a spostarsi da una città all’altra. Ed infine ci sono gli ulivi, queste piante secolari, spesso unica fonte di economia per molte famiglie palestinesi, che per motivi di sicurezza  o per costruire collegamenti tra le colonie, vengono sradicati, abbattuti, spezzati e cadono come le lacrime di chi li guarda piangendo. Il paesaggio palestinese che Sacco ci consegna attraverso le sue immagini è non solo quello delle città di Gerusalemme, Nablus, Hebron, Ramallah ma anche e soprattutto quello dei campi profughi, segnati da strade infangate, sentieri labirintici che solo chi vive lì da tutta una vita ha imparato a conoscere. Le immagini e le parole ci raccontano di campi profughi  pieni di gente (densità altissime di popolazione in pochi chilometri quadrati),  pieni di una confusione che muore come il sole all’ora del coprifuoco, quando trovarsi per strada può risultare pericoloso. Campi dove spesso mancano l’elettricità (e quindi il riscaldamento e l’acqua calda), le  infrastrutture, le attrezzature ospedaliere, insomma i servizi.

I visi che Sacco ci mostra, invece, sono disegnati con lo scopo di evidenziarne ogni tratto. Troviamo quindi volti dai tratti pronunciati e in rilievo: grandi bocche, grandi sorrisi e grandi occhi. Occhi vivaci di bambini, occhi di giovani uomini ancora pieni di speranza ed energia, occhi stanchi di anziani che hanno vissuto il ‘48 e che un po’ di quella speranza che ancora vive nei loro figli sembrano averla persa ed infine occhi spenti, quelli di una madre, più d’una, senza più il proprio figlio. Resoconto di due mesi passati soprattutto ad ascoltare e ad osservare, “Palestina. Una nazione occupata” non manca di fornire al lettore alcuni cenni storici utili a comprendere lo svolgersi dei fatti e l’autore non manca in alcuni casi di bilanciare, con la sua opinione o con domande che possano far riflettere, il filo del racconto. Dieci anni dopo, nel novembre del 2002, Sacco si reca nuovamente in Palestina ed è da questo viaggio, conclusosi nel marzo del 2003, che nasce il suo secondo libro: “Gaza 1956. Note ai margini della storia”. Due  mesi passati nel sud della Striscia di Gaza ed un’idea precisa: far luce su due tragici fatti, relegati ai margini della storia, avvenuti nel novembre del 1956 a Khan Younis ed a Rafah. Durante la guerra del Sinai, anche nota come Crisi di Suez, quando la Striscia venne occupata per alcuni mesi dall’esercito israeliano, decine e decine di civili palestinesi, uomini tra i 15 e i 60 anni circa, residenti nei campi profughi di Khan Younis e Rafah sarebbero rimasti vittima di atti di violenza o di fucilazioni di massa, rispettivamente il 3 novembre 1956 a Khan Younis ed il 12 novembre 1956 a Rafah. Sacco inizia le sue ricerche intervistando chiunque possa dargli informazioni su quanto realmente accaduto, andando alla ricerca di testimoni oculari, ascoltando  i racconti dei sopravvissuti e cercando dati ed informazioni negli archivi contenenti documenti dell’epoca. Mentre i giovani si chiedono a che pro investigare su un passato così lontano, quando il presente è esso stesso una ferita aperta, e gli anziani, rievocando i fatti di quel novembre dimenticato dalla Storia, quel passato si trovano a riviverlo dolorosamente, Sacco ricorda a tutti, ma soprattutto al lettore, che la Storia è un continuum di avvenimenti che si legano uno all’altro e che nessuno di essi deve essere tralasciato, tanto meno dimenticato. E’ iniziata da circa due anni la Seconda Intifada quando Sacco conduce le sue ricerche e la catena degli eventi tragici che si susseguono a ritmo quasi giornaliero fa sembrare ancora più lontano quel novembre del ‘56 su cui Sacco vuole far luce. Nonostante la situazione presente sia piena di tensione ed incertezza Sacco, con l’aiuto di preziose guide e traduttori palestinesi, che non mancano mai di trattarlo con un’ospitalità impeccabile, continua a scavare alla ricerca di una storia dimenticata dai più e mai conosciuta da molti. Quello che ne ottiene, non senza difficoltà, è il racconto di due stragi: quella di Khan Younis, a cui dedica la prima parte del libro, e quella di Rafah, a cui dedica la seconda. I palestinesi sopravvissuti parlano di fucilazioni di massa, di violenze subite ingiustamente e di umiliazioni da parte di soldati israeliani. I loro racconti generalmente riportano gli eventi in modo coerente, nonostante ci si riferisca ad un passato lontano, inoltre i dati ed i traumi subiti coincidono spesso; tutto questo fa dei loro racconti testimonianze attendibili per Sacco, reporter attento ad esaminare ogni dettaglio di ogni testimonianza con grande attenzione. D’altro canto i documenti esaminati da Sacco ed i rapporti dell’Onu, pur fornendo alcune informazioni, non chiariscono completamente il reale svolgersi dei fatti e la versione israeliana e quella palestinese sono in buona parte diverse tra loro. Le immagini di Sacco, di un’efficacia forse ancora più straordinaria rispetto al primo libro, ci mostrano visi rugosi ed occhi profondi di uomini e donne, ormai anziani, che si portano addosso le cicatrici fisiche e psicologiche dei traumi vissuti in quei giorni. Le lacrime, che a volte, durante una testimonianza, inevitabilmente solcano quei visi ci ricordano che la Storia, anche quella relegata ai margini, anche quella che non viene scritta sui libri di scuola, rimane sui volti di chi l’ha vissuta, di chi l’ha subita, di chi dalla Storia è stato dimenticato ma non ha dimenticato. Alla fine del suo primo libro “Palestina. Una nazione occupata” Sacco scriveva: “Se già prima di venire qui mi immaginavo cosa può accadere a chi crede di avere tutto il potere, che cosa succede ad una persona quando sente di non averne nessuno?”. Leggendo “Gaza 1956” torna alla mente questa domanda e le immagini, che Sacco ci consegna parlando di ciò che avvenne a Rafah nel ‘56, immagini di tanti uomini con il capo chino e le mani sulla fronte in attesa di un destino incerto ed in mano ad altri, sembrano far riecheggiare più forte che mai questa domanda.

Fonte: Nena-News

 

Informazioni sul Fronte Palestina

Per sviluppare un lavoro di classe nel sostegno alla lotta di liberazione della Palestina e degli altri popoli oppressi e aggrediti dall'imperialismo, oltre alle sterili e dannose concezioni del pacifismo e dell'equidistanza tra aggressori e aggrediti che hanno in gran parte contribuito ad affossare il movimento contro la guerra nel nostro paese negli ultimi anni, si è deciso di fondare l'organismo nazionale Fronte Palestina.

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