In Italia, ma non solo, prosegue una campagna mediatica contro la Palestina che sinceramente non ci stupisce, ma che anzi conferma il servilismo dei media schierati tutti dalla parte degli USA e di Israele, non a caso i due registi di tutta la messinscena viene riportata all’unisono nelle televisioni, radio e giornali.
Ci sono due date che non vengono ricordate ne accostate alla finzione in scena. Ci riferiamo a quella delle elezioni negli USA il 3 novembre 2020 e la situazione personale e politica di Netanyahu, sempre sul filo di un processo per frode, corruzione e abuso d’ufficio.
Molti paraculi, opportunisti e sionisti si sono rallegrati per gli accordi di parentela tra alcune monarchie e governi che contano poco o nulla, che restano 3 (comunque fossero anche 6), odiate dai loro popoli, col regime fascio sionista che occupa la Palestina.
Ci pare evidente che le elezioni del 3 novembre siano importanti per Israele e per Trump, che hanno voluto mettere in campo qualcosa che sicuramente farà guadagnare voti nella destra americana, che sicuramente farà schierare dalla sua parte tutta la destra nel mondo, le associazioni ebraiche ovunque si trovino (avete per caso letto qualche dichiarazione da parte loro contro la messinscena)?
Questi accordi e strette di mano ben pubblicizzate, restano accordi tra governi, non tra popoli arabi e sionismo.
Chiara Cruciati su Il Manifesto del 24 ottobre 2020 scrive:
Ogni popolo normalizza a modo suo: se tanti emiratini avevano celebrato sui social l’Accordo di Abramo tra Israele e Abu Dhabi della scorsa estate pregustando un viaggio a Tel Aviv, se molti bahraniti avevano invece veementemente protestato online quello tra Manama e lo Stato ebraico, i sudanesi salgono di livello. E scendono in piazza.
Non appena Donald Trump ha annunciato, venerdì, l’accordo di normalizzazione dei rapporti tra Sudan e Israele (in cambio della rimozione del paese africano dalla lista degli Stati sponsor del terrorismo, atto definito ieri dall’Iran «un’estorsione»), a Khartoum la gente ha protestato.
Bruciate bandiere israeliane, cantati slogan contro l’accordo («No alla riconciliazione con gli occupanti, staremo sempre al fianco della Palestina»), rinnovata la solidarietà al popolo palestinese.
Ma contrarietà giunge anche dai partiti politici del paese africano, immerso in una fase di transizione costata sangue e fatica dopo le proteste popolari che hanno portato, con un golpe militare, alla cacciata e all’arresto del trentennale dittatore Omar al-Bashir.
Tra i primi a reagire è stato, in una nota, il Popular Congress Party, parte della federazione civile denominata Forces of Freedom and Change (Ffc) ed espressione delle varie anime delle piazze sudanesi: «La nostra gente, sistematicamente isolata e marginalizzata dagli accordi segreti, non è tenuta a rispettare l’accordo di normalizzazione – si legge – Continuerà a tenere le sue storiche posizioni, a lavorare per resistere alla normalizzazione e a sostenere il popolo palestinese».
Contrari anche Sadiq al-Mahdi (a capo del Partito Umma nonché ultimo premier eletto prima del golpe di Bashir nel 1989) che parla di violazione della legge interna e il Partito Baath, anche questo parte della Ffc, che ha anticipato un possibile ritiro della fiducia al governo di transizione.
Insomma, l’aria che tira non è la migliore per il premier Abdallah Hamdock e per il capo del consiglio di transizione, il generale Abdel Fattah al-Burhan, considerato l’uomo dietro l’accordo.
Diciamo che ci sarebbe ben poco da dire, ma qualcosa vogliamo ed occorre dirla. Partiamo da una domanda che facciamo a tutte e tutti, che a nostro avviso porta nella giusta direzione per leggere in maniera corretta cosa sta succedendo.
La domanda è la seguente: a vostro avviso è più grave la collaborazione tra l’Anp e l’occupazione che dura continuamente dal 1992, o che alcuni paesi si mostrino chiaramente ed apertamente per quello che sono sempre stati?
Siamo chiari: la collaborazione tra lo stato sionista e paesi arabi, africani, europei ha almeno 50 anni, in alcuni casi anche di più…a partire dalla Giordania passando per l’Egitto, Turchia, e per finire all’Arabia Saudita.
Per voi che leggete è una novità o lo sapevate? Quello che scriviamo non sono ipotesi o propaganda, ma è scritto da tutte le parti. Quindi di cosa ci meravigliamo? Non pensate sia positivo mostrare pubblicamente quanto è sempre esistito e si è sempre saputo? Se non altro potrebbe servire ad aprire occhi e menti.
L’altra domanda che ci dobbiamo porre è la seguente: oggi sionisti e loro amici sono più forti o più deboli? I palestinesi sono più forti o più deboli?
A nostro avviso il fatto che siano stati costretti a fare questa mossa dimostra chiaramente la loro debolezza e pericolosità e quindi possono commettere atti criminali come mai han fatto.
Che fare ora?
Oggi i palestinesi hanno una opportunità incredibilmente favorevole per riprendere la giusta direzione per far crescere la loro Lotta di Liberazione dall’occupazione sionista.
Prima di tutto sarebbe essenziale che si riuscisse ad imporre con ogni mezzo possibile la fine della collaborazione tra Abu Mazen e l’occupazione, ripetiamo con ogni mezzo possibile.
I partiti e le organizzazioni del popolo palestinese devono trovare una piattaforma comune per contrastare l’agenda sionista e costruire i dovuti rapporti di forza per imporre un proprio programma, devono finalmente dare la parola ai prigionieri palestinesi e farsi guidare da loro.
Certamente questi passaggi devono avvenire in Palestina e per mano dei palestinesi, chi come noi sostiene la Resistenza palestinese può essere di aiuto per far conoscere la verità e la realtà su quanto succede, certo non ci possiamo sostituire a loro.
Collettivo PalestinaRossa