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Lettera da Nazareth: i palestinesi dimenticati

A Nazareth i cristiani e i musulmani continuano a lottare contro la politica israeliana di dividi et impera.  Un albero di Natale artificiale di 26 metri a Nazareth, il piu alto in tutto il Medio Oriente, e le autorità cittadine ne sono fiere. Le su palle rosse, argentate e dorate luccicanti hanno portato una provvisoria atmosfera di festa nella città in cui Gesù trascorse la sua infanzia.

Nonostante l’atmosfera di festa, amici e vicini nella città palestinese più grande di Israele combattono per un futuro migliore. Persino i Babbo Natale gonfiabili appesi sulle tende da sole dei negozi sembrano persi.

Il turismo è crollato all’indomani degli attacchi israeliani contro Gaza circa 18 mesi fa. Sul conflitto nella vicina Cisgiordania giungono continuamente rapporti su palestinesi uccisi. E nella vicina Siria, a un tiro di schioppo dalla Galilea, l’ordine regionale andato a pezzi risuona come un presagio orrendo.

Un altro segno che provoca inquietudine è la crescente ostilità della società israeliana nei confronti della minoranza palestinese. Frasi canticchiate come “La morte agli arabi!” non sono più confinate agli stadi, ma si sentono anche nelle strade. Mia moglie, nata a Nazareth, non osa più portare con sé un coltello per tagliare la frutta quando esce con le nostre due figlie minori visto che ha paura che potrebbero fucilarla perché a forza di “vigilantismo” si potrebbe identificarla con i cosiddetti “lupi solitari” che attaccano la gente con i coltelli.

Nelle aree ebraiche amici e parenti ammettono di avere sempre più timore di parlare arabo in pubblico o al telefono.

Lo storico Ilan Pappe parla del 1,6 milione di palestinesi e cittadini israeliani come dei “palestinesi dimenticati”. Durante la Nakba e le espropriazioni di massa dei palestinesi nel 1948, sono riusciti ad evitare di essere espulsi dal nuovo stato. Oggi, sono un quinto della popolazione israeliana.

Si trovano nella situazione strana di una “minoranza intrappolata” per usare un termine coniato da un sociologo israeliano che mi condusse per la prima volta a Nazareth da giornalista 10 anni fa, all’inizio della seconda intifada.

Negli anni ho avuto modo di carpire le difficoltà dei cittadini palestinesi di Israele, in quanto vivono in una situazione costante di “nemico interno”.

Sono stati costretti a sviluppare un’identità complessa e flessibile per affrontare questa situazione e un sesto senso in armonia con i continui intrighi architettato dal loro stato per indebolirli e aizzarli l’uno contro l’altro. Nazareth ha la concentrazione maggiore di cristiani in tutta la Terra Santa, ma qui vive anche una maggioranza musulmana di due terzi dopo che la città divenne un santuario per molti rifugiati nel 1948.

Questa situazione ha reso particolarmente vulnerabili le strategie del dividi et impera di Israele. Gli sforzi maligni di Benjamin Netanyahu per fomentare discordia alla fine degli anni 1990, durante il suo primo mandato come primo ministro, non sono caduti in oblio.

Ha causato tumulti, sostenendo il progetto provocativo della costruzione di una moschea gigantesca, alla cui ombra poi si sarebbero situati i maggiori luoghi santi della città. La Basilica dell’Annunciazione infatti indica il punto in cui i cristiani credono che un angelo abbia annunciato a Maria che le sarebbe nato Gesù.

Dopo aver agitato gli animi, Netanyahu tranquillamente decise di disdire il progetto della moschea. Ritornato al potere nel 2009, ha aggressivamente deciso di usare nuovamente la carta dividi et impera, cercando questa volta di trarre vantaggio dalla paura dei cristiani nei confronti dello Stato Islamico sempre più potente in quella regione.

Secondo i media locali un’inchiesta recente condotta in Israele sosterrebbe che il 17 percento dei musulmani in Israele “sarebbe a favore” del gruppo dello stato islamico (ISIS).

Un’analisi più dettagliata rileva comunque che agli intervistati non era stato chiesto se sostenevano ISIS, ma se come “arabi” provavano vergogna per via di ISIS. Su questa base persino mia moglie, una palestinese di religione cristiana, sarebbe classificata come sostenitrice di ISIS.

Ciononostante, l’ampia divulgazione di inchieste di questo tipo e l’arresto in questo mese di cinque uomini di Nazareth, accusati di costruire una cellula di ISIS, sta facendo innervosire anche i cristiani che prima o dopo temono che le conseguenze negative della guerra civile siriana raggiungano anche loro.

E Netanyahu è più che soddisfatto di fomentare i loro timori. Ha persino reclutato un prete di Nazareth, sostenendo che questa volta i cristiani e non i musulmani dovrebbero interrompere la loro opposizione decennale contro il servizio militare nell’esercito israeliano. I giovani cristiani secondo Netanyahu dovrebbero imparare a difendersi come i soldati israeliani, anche se questo significa opprimere i loro parenti nei territori occupati.

L’idea alla maggior parte non piace, ma Netanyahu ha la carota e il bastone per allettarli. Un incentivo si trova vicino a casa mai – un terreno sul dorsale al di sopra della Basilica. Per decenni l’area era una terra, incolta e stranamente vuota in una città zeppa di un sovraffollamento cronico, ereditata da una distribuzione discriminatoria di terre.

Un rappresentante del municipio mi dice che il terreno era stato confiscato dallo stato dopo la fuga del suo proprietario nel 1948. Ora il governo ha deciso di offrire questo terreno a dei costruttori di abitazioni civili, ma esclusivamente per i Palestinesi che prestano servizio nelle forze di sicurezza.

Netanyahu spera di poter sfruttare la mancanza cronica di terreni a Nazareth, collegandola con l’obbligo tradizionale degli uomini palestinesi di costruire una casa prima di spostarsi per spronare i ragazzi cristiani di servire nell’esercito dopo aver terminato la scuola superiore.

Ma il governo si immischia ancora di più, approvando una nuova nazionalità, quella aramea, da aggiungere alle categorie principali ebraica, araba e drusa, indicate sulle carte di identità israeliane. In questo modo si persegue l’obiettivo di convincere i nuovi cristiani a rinnegare la propria eredità, lingua, cultura ed identità arabe al fine di identificarsi come aramei.

Shadi Halul, ex-portavoce di un piccolo gruppo di cristiani, volontari nell’esercito israeliano, di recente ha ottenuto l’autorizzazione per aprire la prima scuola aramea del paese nel suo villaggio di Jish, a nord di Nazareth.

Quando l’ho incontrato a casa sua, ha negato adirato di essere arabo, sostenendo che i conquistatori musulmani avevano imposto con forza un’identità araba alla regione nel settimo secolo.

“Siamo aramei, ma la maggior parte di noi ha dimenticato la nostra vera identità, negataci da secoli”, dici. “La prima battaglia consiste nell’educare i cristiani per riprendere coscienza della loro storia e della loro lingua.”

Nella sua visione del mondo, i cristiani possono recuperare la loro influenza all’interno della regione solo se si alleano con Israele, e visto che sia gli ebrei che i primi cristiani parlavano aramaico, la rinascita della lingua costituisce la chiave per cementare la loro alleanza.

“Si deve essere lupi per difendersi in questa regione”, dice. “Dobbiamo essere capaci di difendere noi stessi.”

Shadi Halul, un Capitano della Riserva dei paracadutisti e direttore del foro degli ufficiali cristiani dell’IDF, era stato proposto come candinato per il 15. distretto dalla lista Yisrael Beytenu di Avigdor Liberman per le elezioni del Knesset dell’anno scorso. Dirige il centro aramaico maronita e la prima scuola aramea di Jish (Gush Halav), finanziata dal Ministero dell’Educazione israeliano.
A Nazareth, un’ideologia come questa ha attratto un gruppetto crescente. Tra poco in questa città sarà anche fondato il primo partito politico cristiano-sionista palestinese mai esistito al mondo. Il suo obiettivo principale consiste nel reclutamento di cristiani per l’esercito israeliano e la costruzione di una statua gigantesca di Gesù, sulla base del modello di Rio de Janeiro, che vegli sull’entrata della città.

Khalil Haddad, guida turistica cristiana e proprietario di un ristorante, un famoso critico di Halul e dei suoi addetti, teme che queste idee con il tempo potranno guadagnare terreno.

Sottolinea il paradosso secondo cui questi cristiani pretendono la lealtà nei confronti di Israele, mentre stanno vivendo sotto un attacco comune, non da parte dello Stato Islamico o dei loro vicini musulmani, ma da parte del proprio governo e dagli estremisti ebrei, sostenuti dalla destra.

Quest’estate Israele ha dichiarato guerra ad una cinquantina di chiese, cancellando la maggior parte dei finanziamenti e costringendo i maestri e gli insegnanti, inclusi i miei figli, a scioperare.

E allo stesso tempo i fanatici ebrei hanno commesso un attacco piromane alla famosa Chiesa della Moltiplicazione dei Pani sul Lago di Galilea, nella peggior ondata di attacchi vendicativi contro luoghi sacri musulmani e cristiani degli ultimi due anni.  Netanyahu, dice Haddad, fa uso della nuova nazionalità aramea per offrire privilegi ai cristiani negati invece ai musulmani per seminare ancora più diffidenza. Anche la messa fuori legge del movimento islamico del nord lo scorso mese, egli ritiene persegua in parte l’obiettivo di rafforzare il senso del “buon” cristiano e dei musulmani “cattivi”.

“Cristiani e musulmani hanno vissuto in comunità comuni e in armonia per secoli”, racconta. “Questo tipo di conflitto settario praticato da Netanyahu arrecherà vantaggio ad Israele, danneggiando invece noi”.

Jonathan Cook جونثان كوك

Fonte: www.jonathan-cook.net
Traduzione a cura di Dr. phil. Milena Rampoldi per ProMosaik

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Per sviluppare un lavoro di classe nel sostegno alla lotta di liberazione della Palestina e degli altri popoli oppressi e aggrediti dall'imperialismo, oltre alle sterili e dannose concezioni del pacifismo e dell'equidistanza tra aggressori e aggrediti che hanno in gran parte contribuito ad affossare il movimento contro la guerra nel nostro paese negli ultimi anni, si è deciso di fondare l'organismo nazionale Fronte Palestina.

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