La nozione di sviluppo economico palestinese anche se sotto occupazione israeliana viene ancora pubblicizzata, in particolar modo dal Segretario di Stato degli Stati Uniti John Kerry, come mezzo per far progredire la causa della pace attraverso i negoziati. Coloro che seguono tali questioni in Palestina temono che la propaganda mediatica confonda la gente per l’impossibilità di ottenere uno sviluppo economico sostenibile mentre Israele continua a occupare, colonizzare ed ebraicizzare i territori palestinesi.
Parlare di sviluppo economico in tali circostanze trascura il fatto che Israele controlla le chiavi più importanti dell’economia palestinese. Gli studi indicano che Israele controlla circa il 96% di tutte le importazioni ed esportazioni palestinesi, e ora il deficit della bilancia dei pagamenti palestinese è la base di un rapporto molto forzoso tra le economie palestinese e israeliana.
A seguito del declino dell’economia palestinese, attribuibile agli sforzi israeliani di marginalizzare i suoi vari settori, migliaia di persone provenienti dalla forza lavoro palestinese sono state indotte a cercare un impiego all’interno di Israele, a beneficio dell’economia israeliana e a scapito della propria.
La terra stessa è uno degli elementi più importanti di produzione che possono favorire lo sviluppo futuro, ma perché essa svolga tale ruolo, richiede lo smantellamento degli aspetti chiave dell’occupazione israeliana quali le colonie illegali e i checkpoint. L’occupazione, dunque, sul territorio palestinese strangola di fatto i mezzi di produzione, a detrimento dell’economia.
Nonostante il parlare di sviluppo economico e di negoziati, il governo israeliano sotto Benjamin Netanyahu ha continuato a costruire ed espandere gli insediamenti illegali in tutta la West Bank occupata, togliendo sempre più terra all’equazione economica palestinese Oggi c’è più di mezzo milione di coloni ebrei illegali in insediamenti collocati strategicamente nella West Bank; 200 mila dei quali vivono nella parte occupata di Gerusalemme, che, attualmente, è circondata da insediamenti che separano la città dal suo naturale retroterra in Cisgiordania.
Israele non ha mai cercato di nascondere le sue intenzioni su Gerusalemme; il piano è quello di impadronirsi del maggior numero possibile di proprietà, terreni e quartieri al fine di ebraicizzare la città. I palestinesi ora sono una minoranza nella propria città e il processo di ebraicizzazione mira a fare in modo che, entro il 2020, non superino il 12 % della popolazione.
Data l’evidenza della realtà delle colonie israeliane nei territori palestinesi, come può essere anche solo discusso, e tanto meno preso in seria considerazione un autentico sviluppo economico sotto l’occupazione militare di Israele?
Le statistiche dimostrano che dopo la prolungata occupazione (1967 – 2013), le politiche economiche di Israele hanno avuto una serie di disastrose ripercussioni sull’economia palestinese. Nonostante la firma degli Accordi di Oslo del settembre 1993, le chiavi più importanti dell’economia palestinese sono rimaste sotto il pieno controllo di Israele; il mercato palestinese per Israele è il secondo dopo gli Stati Uniti. Il controllo di Israele sul numero dei lavoratori palestinesi cui è permesso di attraversare la Linea Verde (dell’armistizio), significa che esso viene mantenuto su, per lo meno, il 20 % del reddito nazionale palestinese. In effetti, le autorità israeliane controllano circa 50 milioni al mese di tasse imposte ai lavoratori arabi della West Bank e della Striscia di Gaza che sono impiegati nell’economia israeliana. Questo espone l’Autorità Palestinese a un ricatto politico costante.
L’assedio di Gaza e l’attività militare israeliana nel territorio assediato e nella West Bank hanno contribuito al declino economico della Palestina. Secondo i dati della banca mondiale, la disoccupazione è aumentata a circa il 60 % e si è diffusa una povertà estrema che colpisce i due terzi di tutte le famiglie palestinesi che vivono sotto occupazione.
Ciononostante, il Quartetto internazionale continua a parlare di stimolare l’economia palestinese senza contrastare l’occupazione. Utilizzando l’ex primo ministro britannico Tony Blair come rappresentante nominale, il piano del Quartetto è quello di far crescere l’economia del 50 %, ridurre la disoccupazione di due terzi e aumentare i salari di circa il 40 % grazie alla distribuzione di 4 miliardi di dollari nei prossimi tre anni.
Quelli che stanno dietro al piano sembra non abbiano preso in considerazione il fatto che l’aumento dei tassi di crescita del PIL palestinese per gli anni di cui parlano, a tassi che variano dal 2 al 3 % l’anno, richiede un investimento annuale di non meno del 60 % del PIL a opportune e appropriate condizioni di collocamento. Ciò significa che esse devono essere prive delle restrizioni imposte da Israele, come ad esempio il controllo di vaste aree di territorio palestinese, agricolo in particolare, così come dei valichi di frontiera, dell’acqua e delle risorse naturali. Essi sembrano , inoltre, accontentarsi del rispetto dell’accordo economico di Parigi che prevede il totale dominio israeliano sull’economia palestinese e il controllo del suo andamento.
Per affrontare le illusioni di uno sviluppo sotto occupazione, devono esserci piani alternativi palestinesi che tengano in considerazione le capacità economiche dei palestinesi sia in Palestina che ovunque nella diaspora. Di conseguenza, la maggioranza silenziosa dei palestinesi e le varie attività economiche devono unirsi per creare un futuro promettente per uno stato palestinese indipendente, dando ai piani di sviluppo una dimensione araba pubblica e ufficiale. Il mondo arabo possiede enormi capacità e potenzialità economiche, contribuendo a circa il 30 % della produzione mondiale annua di petrolio e rappresentando, allo stesso tempo, il 60 % delle riserve petrolifere.
In aggiunta, ci sono almeno sei fondi di investimento arabi in grado di finanziare progetti nei territori palestinesi e di creare opportunità per un commercio bilaterale tra i paesi arabi e l’economia palestinese libera dalla pressione internazionale guidata dagli interessi israeliani.
Uno sviluppo indipendente palestinese richiede, in primo luogo, una volontà politica e ha inizio lasciando perdere l’illusione che l’economia palestinese possa avere uno sviluppo sotto la brutale occupazione israeliana. Richiede pure politici energici per domandare lo smantellamento delle infrastrutture dell’occupazione, che comprendono il muro dell’apartheid, le colonie, le strade per soli ebrei, i posti di controllo e le demolizioni di case eseguite “per motivi di sicurezza”.
Risoluzioni internazionali riconoscono l’illegittimità delle politiche espansionistiche di Israele e i tentativi di modificare i dati demografici nei territori palestinesi occupati, Gerusalemme inclusa. Al momento i palestinesi necessitano di un’iniziativa internazionale che faccia rispettare tali risoluzioni. Solo allora saremo in grado di parlare realisticamente di uno sviluppo economico palestinese libero da, o non sotto, l’occupazione israeliana.
Nabil Al Sahli
(L’autore è uno scrittore palestinese. Questo articolo, che è apparso inizialmente su AlJazeera.net del 24.06.2013, è una traduzione dall’arabo.)
Fonte: Middle East Monitor
Traduzione a cura di Mariano Mingarelli