Basic law, luglio 2018, art. 5: “lo Stato è aperto alla immigrazione ebraica e al ritorno degli esuli”.
Premessa
Sono invitato anche in virtù del mio vecchio mestiere di avvocato, ricordato anche nella locandina, e quindi per un po’ di conoscenza giuridica di cui dovrei essere portatore. Si realizza così una situazione per me paradossale perché da almeno trenta anni vado ripetendo che nella questione palestinese non c’è spazio per il diritto. È solo una questione politica e quindi di forza. Abbiamo visto in alcuni film le modalità di gestione dei check points e delle carceri: dominano disumanità e arbitrio assoluto. Il diritto sta dalla parte palestinese; la forza (economica, militare, mediatica) dalla parte israeliana. Dovrebbe intervenire un terzo soggetto che c’è ma non funziona: il diritto internazionale.
Da qualche anno sentiamo parlare di sovranismo. Il dizionario Larousse offre questa definizione: “dottrina politica che sostiene la riacquisizione della sovranità nazionale rispetto alle organizzazioni internazionali”.
Israele è lo Stato sovranista per eccellenza: esiste esclusivamente la propria legge. Non solo, ma, come dice Ilan Pappe : “Israele esibisce un arrogante disprezzo per l’opinione pubblica internazionale e un complesso di superiorità morale”.
La novità dello scorso anno è data dal fatto che tutto questo è stato messo anche per iscritto: la Basic law del luglio 2018 ha sancito che l’autodeterminazione è riservata al popolo ebraico, capitale è Gerusalemme integra e unita, la colonizzazione è un valore nazionale da promuovere e incoraggiare.
Altro che risoluzioni 181, 194, 242, 2334…Solo numeri senza senso!
È venuta anche meno la sola differenza dall’apartheid sudafricana che, nella edizione del festival dello scorso anno dedicata all’apartheid sionista, abbiamo individuato nella regolamentazione legislativa della discriminazione: presente in Sudafrica, non ancora in Israele; ora è stata colmata questa lacuna.
Detto ciò parliamo pure di profughi e diritto al ritorno
Il sarcasmo del titolo scelto per questo intervento discende dall’articolo 5 della Basic law che recita: “ lo Stato è aperto alla immigrazione ebraica e al ritorno degli esuli” (già nella Dichiarazione di nascita dello Stato del 14 maggio 1948 troviamo scritto: “lo Stato sarà aperto per la immigrazione ebraica e per la riunione degli esuli ). Poiché una delle regole di ermeneutica, cioè di interpretazione dei testi, dice che nell’interpretazione di un’affermazione si deve escludere che sussista una superflua ripetizione, a qualche ingenuo potrebbe venire il dubbio che, poiché si parla già di immigrazione ebraica, quando si parla di ritorno degli esuli costoro dovrebbero essere persone diverse dagli ebrei. Quali esuli allora? I profughi palestinesi del 1948 e del 1967, viventi o i loro figli e nipoti? Ovviamente no: la norma vuole riferirsi agli ebrei discendenti dall’esilio del primo secolo dopo Cristo, se non anche a quelli dell’esilio babilonese! Con buona pace di Shlomo Sand, l’invenzione del popolo ebraico ed anche l’invenzione degli esili. Il sionismo ha il monopolio delle figure di vittima e di esule (tra poco vedremo che ha anche quello della memoria).
Sapete che dal 1950 è in vigore la legge del ritorno per cui ogni ebreo acquisisce la cittadinanza israeliana con il semplice insediarsi in Israele. Gente discendente da persone che mai hanno messo piede in Palestina possono “tornarvi”; palestinesi espulsi nel ’48 e nel ‘67 e lì residenti da sempre no.
Così stanno le cose, vediamo come invece dovrebbero essere.
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Il diritto internazionale definisce rifugiato chiunque si trovi al di fuori del proprio Paese e non possa tornarvi per il fondato timore di subire violenze e persecuzioni.
Ne sanno qualcosa i cosiddetti “infiltrati” cioè i palestinesi che tra il 1948 e il 1950/1955 hanno tentato di esercitare il diritto al ritorno semplicemente tornando a casa: ne sono stati ammazzati circa 10.000!
Dei rifugiati si occupa l’Alto commissariato delle Nazioni Unite (UNHCR). La regolamentazione dello status di rifugiato è contenuta soprattutto nella convenzione di Ginevra del 1951.
La risoluzione 302 dell’8 dicembre 1949 della Assemblea generale delle Nazioni Unite istituì l’UNRWA, l’agenzia per i rifugiati palestinesi. Nasce come agenzia temporanea tanto che il suo mandato deve essere rinnovato periodicamente. Perché temporanea? Perché esattamente un anno prima era stata emanata sempre dall’Assemblea generale la risoluzione 194 che sancisce il diritto al ritorno dei profughi palestinesi.
Chi rientra nella previsione della risoluzione? E’ rifugiato palestinese “qualsiasi persona il cui normale luogo di residenza fosse la Palestina durante il periodo dal 1° giugno 1946 al 15 maggio 1948 e che a seguito del conflitto del 1948 ha perso la propria abitazione e ogni mezzo di sussistenza”. A dire il vero, questa definizione risale al 1984. L’Assemblea generale delle Nazioni Unite non ha mai dato una definizione esplicita.
Con risoluzione del 4 luglio 1967, subito dopo la guerra dei sei giorni, il mandato dell’UNRWA venne esteso ai profughi del ‘67. Le risoluzioni hanno sempre fatto riferimento anche ai discendenti. Non è così per i profughi assistiti dalla UNHCR. Questo spiega l’attacco in corso all’UNRWA, prima con il taglio dei fondi, ora addirittura con la proposta della sua eliminazione. Escludendo i discendenti, per ovvie ragioni cronologiche il numero dei rifugiati palestinesi si ridurrebbe a poca cosa.
Che cosa dice la risoluzione 194 dell’11/12/1948 ? “ Dovrebbe essere permesso ai rifugiati che desiderano fare ritorno presso le proprie case e vivere in pace con i propri vicini di farlo nel più breve tempo possibile e coloro che scelgono di non tornare dovrebbero ricevere un risarcimento per la perdita o il danneggiamento della loro proprietà in base ai principi del diritto internazionale”.
Che cosa oppongono i sionisti?
- la risoluzione non è vincolante perché non è del Consiglio di sicurezza;
- è usato il condizionale (“should be permetted”);
- non si dice dove dovrebbero tornare;
- è un diritto individuale, non collettivo, e come tale inalienabile e non negoziabile ( in questo modo si vuole privare l’OLP e l’ANP della possibilità di trattare il tema non essendo legittimate a farlo).
Le obiezioni sono facili:
- sul luogo del ritorno: “to their homes”, è detto espressamente , ovunque le case siano, quindi anche nel territorio del ‘48;
- se il diritto non è negoziabile deve essere concesso per l’intero. La norma è posta a tutela della vittima e non può ritorcersi contro;
- la risoluzione fa riferimento al diritto internazionale di cui richiama espressamente i principi fondanti e proprio il giorno prima, 10 dicembre 1948, l’Assemblea generale aveva approvato la Dichiarazione universale dei diritti dell’uomo che, all’articolo 13, sancisce la libertà di movimento e di residenza e il diritto al ritorno nel proprio Paese.
La Dichiarazione universale fa parte della categoria delle Dichiarazioni di principio: atti di natura non vincolante ma nemmeno meramente esortativa come le raccomandazioni. È stato anche detto che la Dichiarazione universale non è una “soft law” di indirizzo solo politico ma permea di sé qualsiasi area del diritto internazionale ed è il fondamento ultimo del sistema di protezione dei diritti umani.
Israele è consapevole della carenza delle proprie obiezioni tanto che nel 2001 ha promulgato una legge intitolata “Per la difesa del rifiuto del diritto al ritorno”. Sovranismo puro!
A mio modesto avviso esiste un argomento forte che non vedo sufficientemente usato né a livello politico né a livello giuridico. Israele ha assunto un preciso impegno a rispettare non solo la raccomandazione 181 ma anche la risoluzione 194. Quando? Nel 1949 quando ha chiesto di essere ammesso all’ONU. L’Assemblea generale ammette Israele con la risoluzione 273 a condizione che rispetti gli obblighi di cui alle risoluzioni 181e 194 e Israele accetta senza riserve. Gli obblighi non sono mai stati rispettati, come ben sappiamo.
Non solo, ma ora con la Basic law dello scorso anno Israele dice espressamente che non intende rispettarne nessuno: il ritiro dai territori occupati, lo status internazionale di Gerusalemme capitale dei due Stati, il ritorno dei profughi. L’insubordinazione verso il diritto internazionale è codificata, così come era avvenuto con la ricordata legge del 2001 sul rifiuto del diritto ritorno.
L’articolo 6 dello Statuto dell’Onu prevede l’espulsione di un paese membro “in caso di persistente violazione dei principi della Carta”.
Io ne farei oltre che una questione giuridica, perché fondata, anche etica: come si può tollerare nel proprio consesso uno Stato che ostenta tanto disprezzo per i principi fondanti della nostra civiltà post-bellica?
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Ho usato un termine problematico per Israele: etica. Deve essere ben originale la concezione dell’etica da parte di Israele se giunge a definire il proprio esercito che uccide e ferisce persone inermi al confine di Gaza l’esercito più etico del mondo.
Che cosa c’entra l’etica? Mi spiego. Il problema dei profughi è connesso con quello della causa del “profugere” (cercare scampo), cioè la Nakba. La Nakba non può esistere. Afferma Ilan Pappe: ” Riconoscere la Nakba vuol dire mettere in discussione la legittimità morale del progetto sionista”. La Nakba non esiste nei libri di scuola israeliani; dal 2011 una legge taglia i fondi alle istituzioni pubbliche che commemorano la Nakba (inizialmente era previsto il carcere per chiunque la commemorasse).
Nel corso delle cosiddette trattative di pace, Israele al massimo ha riconosciuto le sofferenze dei palestinesi ma mai le proprie responsabilità. Già ho detto che le vittime sono sempre e solo loro ma hanno anche il monopolio della memoria: mentre la Shoah viene ricordata non solo a gennaio nella giornata della memoria ma anche a febbraio, a marzo, quasi ogni giorno nei media più diffusi con qualsiasi pretesto, la Nakba non deve esistere. Qui si celebra il ricordo, lì viene punito.
Per i sionisti, del resto, non c’è stata espropriazione ma solo riappropriazione. Il termine ebraico “hithnakhel” è normalmente tradotto come colonizzare; invece testualmente significa “prendere possesso della propria eredità”. Sono quindi i palestinesi gli usurpatori; non hanno diritto al ritorno perché è stata ripristinata una situazione di legalità.
Il discorso ha una sua logica se si considera la Bibbia e le altre scritture una fonte giuridica, il loro certificato catastale, il titolo di proprietà.
Evidentemente non è così, le fonti giuridiche sono quelle che abbiamo sinteticamente ricordato. La Bibbia fonte giuridica? Titolo di proprietà? Suvvia! Non lo credono neppure i sionisti. Loro sanno bene che la loro è una mera operazione coloniale e della peggiore specie, il colonialismo da insediamento, altro che “il popolo del libro” e “luce delle nazioni”.
Un po’ di confusione, del resto, c’è sul tema nella società ebraica.
Ebrei ortodossi sostengono la necessità di restituire ai palestinesi tutto il territorio, Gerusalemme inclusa. Ebrei laici sostengono che non è mai esistito un popolo ebraico che possa vantare diritti sulla Palestina. Restano gli ebrei sionisti, purtroppo la stragrande maggioranza, ben consapevoli di avere creato uno stato fondato sulla menzogna: una terra senza popolo, l’unica democrazia del Medio Oriente, l’esercito più etico del mondo, la Nakba mai esistita e via mentendo.
Dovrebbero rileggere Hannah Arendt: “ Una opinione sgradita può essere discussa, respinta, si può giungere a un compromesso; ma i fatti sgradevoli possiedono una esasperata ostinazione che può essere scossa soltanto dalla pura e semplice menzogna”. O, forse, proprio perché l’hanno letta, oppongono solo la menzogna.
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Come concludere?
Un titolo provocatorio per una conclusione provocatoria. Il ritorno dei palestinesi nella Palestina storica è non solo un loro diritto ma una necessità per noi tutti e una opportunità per la società israeliana. Nel mondo dilaga il razzismo. L’epicentro è in Israele. Se lo dicessi solo io, sarei il solito antisemita; per fortuna lo dicono in tanti e ben più autorevoli del sottoscritto. Shlomo Sand: “ Mi rendo conto di vivere in una delle società più razziste del mondo occidentale. Il razzismo è ovunque però in Israele lo si ritrova addirittura nello spirito delle leggi, lo si insegna a scuola e i media non fanno che amplificarne il messaggio”. Conforme Zeev Sternhell,il 2 marzo 2018: “vi è un razzismo vicino al nazismo ai suoi esordi”.
Come dargli torto?La ministra della giustizia Shaked il 13 febbraio dello scorso anno è giunta a dire: ”l’uguaglianza è un pericolo per lo Stato ebraico”. Non è da meno l’Alta Corte di giustizia di Israele che in una sentenza che considera legittimo il transfer dei beduini del Negev afferma che costoro devono lasciare il posto a “ebrei etnicamente puri”. Per non dire dei comitati di accoglienza in moltissimi comuni di media e piccola dimensione che decidono chi è degno di risiedere nel comune e chi no in base a precisi criteri: ebrei, bianchi, possidenti, eterosessuali ( e l’Alta Corte ha ritenuto legittimi questi criteri).
Tutto questo mette paura.
Per Herzl lo Stato degli ebrei doveva essere “un avamposto della civiltà contro la barbarie”. È invece un avamposto del razzismo, della violenza, della illegalità. Il ritorno dei profughi palestinesi nelle proprie case può ripristinare la civiltà in quella terra.
Il problema non è solo territoriale ma soprattutto demografico. Se Israele è lo Stato del popolo ebraico e solo del popolo ebraico, come ribadito nella Basic law, non vi è spazio per i non ebrei.
Israele che nega il diritto al ritorno dei palestinesi ha sempre favorito immigrazioni ebraiche o pseudo ebraiche di massa: i falascià, gli ebrei arabi, gli ebrei russi (1 milione di cui 200.000 non ebrei). Pur di avere la maggioranza ebraica i sionisti hanno superato il proprio razzismo interno ( definisco così il razzismo all’interno della stessa società ebraica: verso i neri, verso i mizrahim).
Vera Pegna nella sua autobiografia di recente pubblicazione riporta i dati dell’Atlante della Palestina di Abu Sitta: l’80% degli israeliani ebrei vive in solo il 17% del territorio di Israele; 272 villaggi contano pochissimi ebrei e 249 villaggi sono abitati solo da palestinesi. Spazio per il ritorno dei profughi ve ne è. Verrebbe però meno l’ebraicità dello Stato. Questo rischio è stato escluso anche per legge: prima quella del 2001, ora la Basic law.
Sono vicine le elezioni in Israele. Assistiamo a una rincorsa a destra impressionante. Un piccolo partito è stato criticato per il suo razzismo e il suo estremismo perfino dall’ AIPAC!
Il ritorno dei profughi potrebbe contribuire a un ripristino di legalità e di civiltà in quella terra.
Ugo Giannangeli
Cagliari, 15/3/2019