"Loro guardano verso il futuro, ed è per questo che correggono i nostri errori
e gli errori di tutto il mondo."
Cerco la vera Palestina. La Palestina che vale più dei ricordi, più di una penna di
pavone, di un bambino e dei segni di matita sul muro delle scale. Mi stavo domandando
tra me e me: “Che cos’è la Palestina per Khaled?”. Per lui che non conosce il vaso, né
la fotografia, né le scale, né Halisa, e nemmeno Khaldun? E malgrado ciò gli sembra
che valga la pena di prendere le armi e morire per la sua causa. E per noi, invece per
me e per te, è soltanto la ricerca di roba coperta dalla polvere dei ricordi. Guarda che
cosa abbiamo trovato, sotto questa polvere… Ancora polvere! Ma noi abbiamo
sbagliato a credere che la patria fosse soltanto il passato. Per Khaled invece, per lui, la
patria è il futuro, e la differenza è talmente grande che Khaled ha deciso di prendere le
armi. Ce ne sono a decine di migliaia, come Khaled, che non si lasciano trattenere
dalle lacrime di umiliazione di quelli che cercano negli abissi delle proprie sconfitte
frammenti di scudi e linfa di fiori. Loro guardano verso il futuro, ed è per questo che
correggono i nostri errori e gli errori di tutto il mondo.
Questo frammento di alta letteratura proviene dal libro di Ghassan Kanafani “Ritorno ad Haifa”. Una settimana fa, l’8 luglio, è stato il quarantesimo anniversario della morte del poeta, leader politico, fondatore della letteratura di resistenza, nonché protagonista del Fronte Popolare per la Liberazione della Palestina, Ghassan Kanafani.
Una breve frase in omaggio alla sua opera politica e letteraria era dovuta, inoltre la citazione mi sembra adatta ad introdurre le buone notizie che arrivano da Nahr el Bared.
I giovani di Nahr el Bared, i leader politici, i membri della comunità hanno lottato, per la sopravvivenza dal 2007, e per un riconoscimento dei propri diritti specialmente nell’ultimo mese, e hanno vinto.
Dopo gli scontri di giugno con l’esercito libanese, che avevano portato alla morte di due rifugiati, tra cui Ahmad al-Qassem, quindicenne- avevano preso il via numerose proteste nelle strade di Nahr el Bared, nonchè incontri sotto la tenda palestinese sede del sit-in che c’è stato per giorni. La “tenda” è stata sede di incontri, proiezioni di film, attività culturali, scambi intellettuali, letture di poesie.
Le richieste che erano state elaborate pacificamente dai giovani shabab erano state le seguenti: la sospensione del sistema dei permessi che era in vigore dalla guerra del 2007, il rilascio di una decina di persone incarcerate durante le proteste, e il ritiro dell’esercito libanese dal campo.
Uno dei leader del Comitato Popolare del campo, Jamal Abu Ali, aveva avuto un incontro con il Primo Ministro libanese Najib Mikati in cui aveva presentato queste richieste. Le richieste erano state accolte, la data di scadenza era il 16 luglio.
Abu Salim Ghneim, il rappresentante di Fatah nel campo, ha confermato che da ieri il sistema dei permessi è stato revocato, e i detenuti sono stati rilasciati. L’esercito mantiene ancora il controllo dei checkpoint, ma da ieri è stato chiesto solo il documento del rifugiato per entrare nel campo, ma non più il permesso. L’esercito, infine, controlla ancora alcune aree del campo.
I ragazzi hanno vinto.
Il cammino è lungo, sappiamo tutti che l’obiettivo a lungo termine è il diritto al ritorno. Sappiamo benissimo che i diritti dei palestinesi in Libano non vengono rispettati. Sappiamo benissimo che a Nahr el Bared gli abitanti vivono ancora in temporary houses dal 2007, che non hanno una casa, che la disoccupazione è alle stelle, ecc. ecc. Sappiamo e teniamo a mente tutte queste cose, di cui si potrebbe scrivere migliaia di pagine. Non ce le dimentichiamo.
Ma per gli abitanti di Nahr el Bared, questa è già una vittoria. Una prima vittoria, che non può far altro che risollevare gli animi dopo gli ultimi anni. A dicembre ho personalmente intervistato diverse persone, e riporto qui quanto era stato detto da una donna, una mattina, mentre, insieme alle amiche, stavamo pelando chili e chili di patate. I figli giocavano lì intorno, una di loro aveva 40 anni e 17 figli. Si chiacchierava, e alla mia domanda “Cosa vorresti per il futuro?” “Che la vita tornasse come era prima della guerra.” “Hada wa khalas?” –Questo e basta?- le avevo chiesto un po’ sorpresa. E lei, sorridendo, mi aveva detto “Hada wa khalas. Niente più permessi perché quelli ci tolgono la dignità, una casa, un lavoro.”
Ripenso a quella donna, e sorrido. Ripenso ai volti delle persone che ho incontrato, e ai loro racconti. Tutti avevano menzionato il sistema dei permessi come lacerante, contro ogni diritto umano, distruttivo, frustrante.
E allora, avete vinto ya shabab. E adesso proseguiamo la lotta.
Maria Grazia Imperiale