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L’epidemia di coronavirus al tempo dell’apartheid

Mentre il mondo invoca solidarietà, i palestinesi non se ne aspettano alcuna dai loro occupanti

Mentre il numero di infezioni e decessi per COVID-19 si moltiplica di giorno in giorno, ci sono sempre più appelli in tutto il mondo affinché le persone dimostrino solidarietà e e si prendano cura gli uni degli altri. Ma per il governo israeliano non esiste solidarietà.

Per gli ingabbiati di Gaza, il Coronavirus è una condanna a morte

Due milioni di esseri umani che vivono nello spazio di soli 365 chilometri quadrati. Uno dei luoghi più densamente popolati del Pianeta Terra, confinato in una gabbia da cui non possono fuggire.

Nell’”era” del Coronavirus la più grande preoccupazione tanto dell’autorità palestinese quanto di quella israeliana è la diffusione del virus nella Striscia di Gaza. “Immagina due milioni di esseri umani che vivono nello spazio di soli 365 chilometri quadrati. Uno dei luoghi più densamente popolati del Pianeta Terra, confinato in una gabbia da cui non possono fuggire. Questi due milioni di persone non possono andarsene, anche se volessero, senza grandi difficoltà. Devono vivere la propria vita entro i confini di questa zona di terra in rapido deterioramento, alcuni persistono nella speranza che un giorno le cose possano cambiare, ma molti sopravvivono con la consapevolezza che nulla cambierà, se non in peggio. Indipendentemente dal loro grado di ottimismo o pessimismo, tutti sono isolati dal resto del mondo. Chiamiamo questo posto la Striscia di Gaza , ed è stato bloccato da Israele dal 2007”, scrive su Haaretz, il quotidiano progressista israeliano, Shannon Marre Torrens, avvocato internazionale e per i diritti umani, con una vasta esperienza in materia: ha lavorato presso i tribunali e tribunali penali internazionali delle Nazioni Unite per l'ex Jugoslavia, Ruanda, Sierra Leone e Cambogia e con il Tribunale penale internazionale. 
 

I palestinesi non hanno altra scelta: restare e lottare

Una nuova ondata di lotte deve ora iniziare per ottenere la parità dei diritti in uno Stato che comprenda tutta la Palestina storica

Per anni sulla strada dei piani messianici di Benjamin Netanyahu per stabilire lo Stato di Israele fra il fiume e il mare, c’è stata una trappola per elefanti.

L’antisemitismo secondo la definizione della Alleanza internazionale per la memoria dell’Olocausto (IHRA): veramente è equiparato all’antisionismo?

La recente dichiarazione d’amore di Salvini per Israele si aggiunge alla lunga lista delle precedenti di esponenti della destra, anche estrema come Orban. Israele, invece di essere indignato o quanto meno imbarazzato, ne è compiaciuto. Dore Gold, ex ambasciatore israeliano all’Onu, ospite d’onore al recente convegno leghista sull’antisemitismo, ha apprezzato le parole di Salvini ed ancora di più avrà apprezzato la sua intenzione di accelerare l’iter parlamentare sulla adesione del governo italiano alla definizione dell’IHRA e sul disegno di legge Anti- BDS. Complice la vicinanza della Giornata della memoria si susseguono iniziative pro Israele associate a un pressing mediatico che ha pochi precedenti ed è raro non trovare riferimenti alla definizione di antisemitismo dell’IHRA.

La vulgata corrente su questa definizione vuole che essa equipari antisionismo e antisemitismo (si veda, anche, da ultimo, il Corriere della Sera del 17 gennaio 2020 sul convegno leghista). Così non è e, a onor del vero, neppure intende esserlo. Si ha l’impressione che i più scrivano e parlino della definizione senza averla neppure letta. Ogniqualvolta il commento del testo sia stato affidato a giuristi o, quantomeno, a non addetti alla propaganda sionista la critica alla definizione è stata radicale e ferma è stata la denuncia dei suoi enormi limiti. Certamente non vi si può trovare alcuna equiparazione tra antisionismo e antisemitismo. Perfino il redattore della definizione, l’avvocato statunitense Kenneth Stern, ritenuto non di sinistra ed autodefinitosi sionista, contrariato dalla strumentalizzazione del suo testo ha preso le distanze da queste mistificazioni.

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Per sviluppare un lavoro di classe nel sostegno alla lotta di liberazione della Palestina e degli altri popoli oppressi e aggrediti dall'imperialismo, oltre alle sterili e dannose concezioni del pacifismo e dell'equidistanza tra aggressori e aggrediti che hanno in gran parte contribuito ad affossare il movimento contro la guerra nel nostro paese negli ultimi anni, si è deciso di fondare l'organismo nazionale Fronte Palestina.

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