Gerusalemme

Demolire le case vuol dire demolire la pace

Un'analisi spietata dell'avanzata della pulizia etnica praticata da Israele. La “giudaizzazione” di Gerusalemme e della Cisgiordania va avanti rapidamente, nonostante la (e di fatto a causa della) cosiddetta “Iniziativa di Kerry”.

Negli ultimi mesi il governo israeliano ha intensificato la campagna di demolizioni a Gerusalemme, nella strategica area E1 tra Gerusalemme e l’insediamento dei coloni di Maale Adumim, sulle colline a sud di Hebron e nella valle del Giordano. In base ai dati dell’ONU, 231 palestinesi sono stati cacciati dalle loro case nei primi due mesi del 2014. Durante questo breve periodo 132 strutture sono state demolite, un ritmo superiore a quello del 2013, quando 1.103 edifici sono stati demoliti e 663 persone espulse, che di per sé è stato il livello più alto negli ultimi 5 anni.

Apartheid dell'acqua in Palestina - un crimine contro l'umanità? Ayman Rabi, Amici della Terra Palestina

È in corso da parte delle autorità israeliane occupanti e della compagnia idrica privata Mekorot una sistematica, intensa e malvagia discriminazione nell'accesso alle risorse idriche nella West Bank e a Gaza, unito ad un imponente furto di risorse, scrive Ayman Rabi in occasione della Giornata mondiale dell'acqua delle Nazioni unite

Oggi è la Giornata mondiale dell'acqua - un giorno che l'ONU dedica al ricordo di quei miliardi di persone che non riescono a soddisfare il fabbisogno d'acqua potabile e pulita, a causa di siccità, povertà e negligenza. Ma è anche un giorno per ricordare, e per cui lottare, i 2 milioni e 100 mila Palestinesi che soffrono di un qualcosa di diverso, una carenza idrica artificiale, deliberatamente creata e sostenuta dall'occupazione militare israeliana e dalla compagnia idrica privata Mekorot.

Sul boicottaggio accademico di Israele

L’ostruzione sistematica del sistema educativo palestinese non viola soltanto i diritti umani dei soggetti coinvolti ma mina anche alle radici la possibilità di sviluppo della società palestinese nel suo insieme.

Uno dei punti scottanti dell’acceso dibattito sul boicottaggio accademico di Israele[1] è che la cultura e le istituzioni accademiche rappresentano uno dei pochi luoghi simbolici dove è possibile un dialogo vero e costruttivo. La libertà accademica e di parola, si sostiene, può rappresentare per gli intellettuali israeliani il punto di forza per premere per il cambiamento della politica israeliana e quindi anche per mettere fine all’occupazione del territorio palestinese. Ciò che probabilmente sfugge è che senza una reale libertà di parola anche per gli intellettuali palestinesi e senza una libertà di istruzione per gli studenti palestinesi non si può concepire un dialogo costruttivo che porti ad una soluzione a lungo termine del conflitto. Se la libertà di espressione e di educazione significa qualcosa, deve valere per tutti.

20 febbraio 1992: invasione Israeliana del Libano

Il 20 febbraio del 1992 l'esercito israeliano invase il territorio libanese, al di là di quella striscia di terra unilateralmente definita "di sicurezza", e con carri armati bombardò per primi due villaggi sciiti nel Libano del sud, Rashaf e Srobbine, colpendo quindi la popolazione civile che fu costretta alla fuga. I mezzi di Gerusalemme, infatti, organizzati in colonne motorizzate coperte da elicotteri e artiglieria, superarono la zona presidiata dal contingente nepalese e dell'isole Figi dell'Unifil spazzandone via, a colpi di ruspa, i mezzi che tentavano di tagliare loro la strada e provocarono 4 feriti.

Agli occhi della comunità internazionale quello alla popolazione libanese fu un attacco giustificato dalla volontà di porre fine al lancio dei razzetti Katiuscia che, diretti alle alture del Golan, venivano talvolta utilizzati dal movimento di resistenza per difendere il proprio territorio e la popolazione libanese. Il lancio di alcuni Katiuscia il 19 febbraio, con i conseguenti 13 feriti lievi tra gli abitanti delle alture dell'alta Galilea, aveva fatto gridare vendetta agli organi di stampa filo sionisti e ai vertici dell'esercito israeliano tant'è che, alla luce della violenza distruttiva dispiegata in quei giorni dell'esercito di Gerusalemme, per giorni in tutto il mondo ci si chiese se questi attacchi sarebbero sfociati in un'occupazione permanente. Non si trasformò in un'occupazione permanente anche perché la resistenza libanese, appoggiata dai combattenti di Amal (pro-siriani e protagonisti della guerra civile libanese del 1975) e con l'Olp pronta ad intervenire, si dimostrò decisa (seppur con una forza non paragonabile alle truppe israeliane e ai miliziani suoi alleati) a pochi giorni, per di più, dall'inizio del negoziato di pace a Washington.

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Per sviluppare un lavoro di classe nel sostegno alla lotta di liberazione della Palestina e degli altri popoli oppressi e aggrediti dall'imperialismo, oltre alle sterili e dannose concezioni del pacifismo e dell'equidistanza tra aggressori e aggrediti che hanno in gran parte contribuito ad affossare il movimento contro la guerra nel nostro paese negli ultimi anni, si è deciso di fondare l'organismo nazionale Fronte Palestina.

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