Gerusalemme

Ilan Pappé: «Quei negoziati finiranno nel nulla»

Secondo lo storico Ilan Pappé «Netanyhau vuole solo impedire che l'Onu sanzioni le colonie» e «Gli Usa vogliono che i colloqui procedano con Israele padrone nei Territori occupati»

I colloqui israelo-palestinesi stentano a partire nonostante l'annuncio in pompa magna fatto la scorsa settimana dal Segretario di Stato americano John Kerry. In ogni caso Abu Mazen e Benyamin Netanyahu mettono le mani avanti. Il presidente dell'Anp e il premier israeliano hanno entrambi avvertito che un referendum tra le rispettive popolazioni deciderà l'approvazione dell'eventuale accordo tra le due parti. Referendum che sul lato israeliano solleva un interrogativo: è giusto che la popolazione di uno Stato occupante, di fatto, decida con un voto se approvare l'indipendenza e la libertà di un altro popolo sotto occupazione? È solo una delle tante questioni che solleva il tentativo diplomatico sul quale si gioca la reputazione il Segretario di Stato. Ne abbiamo parlato ad Haifa con l'autorevole storico israeliano Ilan Pappé, professore cattedratico del Dipartimento di Storia dell'Università di Exeter (Gb), rientrato in Israele per l'anno sabbatico.

Israele: prima testa, poi vende

Il business dell'industria militare. Quasi 7mila esportatori privati, mentre le compagnie statali fatturano 7 miliardi in un anno.


Il sistema di difesa anti-missile Iron Dome

Gerusalemme, 19 luglio 2013 - Uno degli eserciti più potenti del mondo, una delle industrie di armi più tecnologicamente sviluppate ed in grado di infilarsi e proliferare nei mercati di Paesi ai quattro angoli del globo. Chi pensa che l'occupazione militare israeliana sia un mero costo per Tel Aviv, si sbaglia di grosso. Negli ultimi cinque decenni, l'industria militare israeliana ha raggiunto livelli inimmaginabili per un Paese apparentemente "piccolo". Ma a permettere di raggiungere successi tecnologici di tale fattura è il conflitto, sia locale che regionale.

Lo sviluppo palestinese sotto occupazione è un’illusione

La nozione di sviluppo economico palestinese anche se sotto occupazione israeliana viene ancora pubblicizzata, in particolar modo dal Segretario di Stato degli Stati Uniti John Kerry, come mezzo per far progredire la causa della pace attraverso i negoziati. Coloro che seguono tali questioni in Palestina temono che la propaganda mediatica confonda la gente per l’impossibilità di ottenere uno sviluppo economico sostenibile mentre Israele continua a occupare, colonizzare ed ebraicizzare i territori palestinesi.

Parlare di sviluppo economico in tali circostanze trascura il fatto che Israele controlla le chiavi più importanti dell’economia palestinese. Gli studi indicano che Israele controlla circa il 96% di tutte le importazioni ed esportazioni palestinesi, e ora il deficit della bilancia dei pagamenti palestinese è la base di un rapporto molto forzoso tra le economie palestinese e israeliana. 

A seguito del declino dell’economia palestinese, attribuibile agli sforzi israeliani di marginalizzare i suoi vari settori, migliaia di persone provenienti dalla forza lavoro palestinese sono state indotte a cercare un impiego all’interno di Israele, a beneficio dell’economia israeliana e a scapito della propria. 

La terra stessa è uno degli elementi più importanti di produzione che possono favorire lo sviluppo futuro, ma perché essa svolga tale ruolo, richiede lo smantellamento degli aspetti chiave dell’occupazione israeliana quali le colonie illegali e i checkpoint. L’occupazione, dunque, sul territorio palestinese strangola di fatto i mezzi di produzione, a detrimento dell’economia.

VERSO UNA NARRAZIONE PALESTINESE DEL CONFLITTO

Queste riflessioni (frutto della rielaborazione di appunti usati per il corso di formazione per attivisti organizzato da ISM-Italia) nascono dalla constatazione che l'analisi della natura del conflitto in Palestina - in particolare l'ideologia e la pratica del movimento sionista - è un aspetto fondamentale per l'elaborazione di una strategia efficace di solidarietà con la causa palestinese. Inoltre, esse intendono contribuire al dibattito in corso all'interno del movimento di solidarietà con la causa palestinese al fine di creare una base condivisa di analisi e avanzare una piattaforma comune di azione.

Raccolgo con entusiasmo l'invito di fornire un contributo in merito al rapporto sull'incontro con Michele Giorgio, pubblicato da PalestinaRossa qualche giorno fa, per un convegno nazionale in cui si discuta di questi temi.

Decostruire falsi paradigmi, pregiudizi e luoghi comuni

Il discorso sionista sulla Palestina ha creato una serie di distorsioni del modo in cui molti, soprattutto in occidente, percepiscono il conflitto. Una di queste distorsioni consiste nella restrizione della dimensione storica e geografica della Palestina, che avviene attraverso varie forme:

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Informazioni sul Fronte Palestina

Per sviluppare un lavoro di classe nel sostegno alla lotta di liberazione della Palestina e degli altri popoli oppressi e aggrediti dall'imperialismo, oltre alle sterili e dannose concezioni del pacifismo e dell'equidistanza tra aggressori e aggrediti che hanno in gran parte contribuito ad affossare il movimento contro la guerra nel nostro paese negli ultimi anni, si è deciso di fondare l'organismo nazionale Fronte Palestina.

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