Ormai si contano a decine i morti e a centinaia i feriti dall'inizio della “Intifada dei coltelli”, che partendo dalla Spianata delle Moschee di Gerusalemme si sta espandendo a macchia d'olio in tutta la Palestina, arrivando ad Hebron, Tel Aviv e Gaza. Proprio l'arma simbolo di questa nuova intifada, rappresenta al contempo la determinazione e la rabbia emergente dalle ceneri degli Accordi di Oslo che, definitivamente abortiti dalla realtà mediorientale, vengono strumentalmente tenuti in vita solo nei salotti buoni delle capitali occidentali, soprattutto quelli della sinistra filo-sionista e atlantista.
La trasformazione del comune coltello da cucina, in arma da sollevazione popolare, utilizzata in temerari attacchi ravvicinati, tesi ad eliminare e disarmare un nemico che, codardamente, preferisce combattere dalla“distanza di sicurezza” garantita dai proiettili sparati con i mitragliatori o dalle bombe sganciate dagli aerei, sta seminando il panico tra coloni e occupanti sionisti. Che non si sentono più così sicuri di poter camminare con arroganza nelle strade usurpate, o di potersi permettere blasfeme e provocatorie camminate in luoghi ritenuti sacri e inviolabili, non solo dai palestinesi ma da centinaia di milioni di persone.