Intifada

PALESTINA, nessuna Intifada

47 anni fa l’occupazione israeliana di Gaza e Cisgiordania. Ma ora neoliberismo e consumismo favoriscono tra i palestinesi l’individualismo, allentando la lotta per la libertà e l’autodeterminazione. Intervista al sociologo Jamil Hilal

I palestinesi commemorano un nuovo anniversario dell’occupazione militare israeliana. Non è un rituale. I primi di giugno di ogni anno, dal lontano 1967, quando Israele catturò durante la Guerra dei Sei Giorni Cisgiordania, Gaza e Gerusalemme est (oltre al Golan siriano e al Sinai egiziano poi restituito), sono l’occasione per valutazioni e riflessioni. Sui passati 47 anni e soprattutto sul futuro e la possibilità di raggiungere la libertà e la piena autodeterminazione. Tra i temi in discussione, anche tra gli analisti israeliani, c’è il possibile inizio di una terza Intifada palestinese. Ne abbiamo parlato con il sociologo Jamil Hilal, ricercatore universitario, autore di apprezzati testi in arabo e in inglese e collaboratore di pubblicazioni regionali e internazionali.

I palestinesi sono pronti a una terza intifada?

Chi segue da vicino le vicende mediorientali si sarà sicuramente chiesto, almeno una volta, se lo scoppio di una terza intifada palestinese sia possibile, soprattutto dopo i ripetuti fallimenti dei “negoziati di pace”, il proseguimento delle costruzioni illegali e l’espandersi delle colonie israeliane. Il susseguirsi degli arresti arbitrari, la detenzione amministrativa, gli abusi sui minori e il mancato riconoscimento del diritto al ritorno sono altri fattori in grado di scatenare un’insurrezione contro Israele. La posizione non sempre chiara dello stesso presidente palestinese Mahmūd Abbās ha complicato il quadro della situazione.

Innanzi tutto cosa è l’intifada. Il termine deriva da un verbo arabo (nafada) che significa “scuotere”, “sollevare”, da cui la forma intifada come “sollevazione”, “rivolta”. La prima intifada palestinese si ebbe nel 1987, la famosa intifada delle pietre che scoppiò a Gaza e in Cisgiordania dopo che un camion delle Forze di Difesa Israeliane (FDI) colpì due furgoni che trasportavano operai di Gaza al campo profughi di Jabaliyya.

L’Accordo di Gaza del 2014 fa di Hamas uno strumento di Israele?

L’accordo fra le due principali organizzazioni ‘governative’ palestinesi, Fatah e Hamas (che ormai ha quasi del tutto abbandonato l’Asse della Resistenza), è stato salutato con favore da molti analisti (fra cui molti vicini alla causa palestinese) tranne rare eccezioni. Purtroppo, anche questa volta, c’è un solco profondo fra la realtà e le illusioni. Di conseguenza è bene chiarire, sia pur sinteticamente, i risvolti di questo matrimonio che, per quanto mi riguarda, non credo durerà a lungo. Cominciamo intanto con il contestualizzare gli eventi.

Prima di entrare nel merito dell’accordo è bene ricordare che entrambe le organizzazioni vengono da un momento difficile che ha visto erodere sensibilmente il loro consenso all’interno della società palestinese.

Fatah ha visto calare sensibilmente il suo prestigio fin dagli Accordi di Oslo del 1993. La corrente laica e nazionalista della Resistenza palestinese, nel momento in cui ha formalmente riconosciuto lo Stato di Israele, ha cominciato gradualmente a perdere credibilità non solo agli occhi degli stessi palestinesi ma anche di tutti quei movimenti che nel mondo si battono contro le politiche imperialiste e neocolonialiste. Il suo leader, Yasser Arafat,  che in molti sospettano essere stato assassinato dal servizio segreto israeliano, non è riuscito a risollevare le sorti di questa organizzazione che ormai da molto tempo si limita a giustapporsi allo stato israeliano che tuttora occupa la Cisgiordania.

Alcune riflessioni sulla "Riconciliazione"

Il gran parlare oggi sull'intesa Al Fatah/Hamas dimostra quanto sia importante davvero arrivare ad un accordo, qualsiasi, che permetta alle due parti di uscire dalla pericolosa situazione che le travolge. Tutti parlano dell'intesa come l'unico processo raggiungibile. Al momento il documento firmato non rispecchia minimamente le richieste della piazza palestinese per arrivare all'unità nazionale. Quel che è stato firmato pone solo una tregua alle ostilità guerreggiate tra entrambi gli schieramenti.

A noi sembra che il momento difficile che stanno passando il governo di Ramallah e quello di Gaza abbia indotto le due parti ad arrivare ad un accordo di “cessate le ostilità”. Contro Ramallah cresce il malcontento popolare sia per le condizioni oggettive (nel campo dell'economia, sociale e della libertà) sia per la situazione politica di stallo. Cresce la colonizzazione sionista che nel 2013 ha raggiunto una percentuale del 300% rispetto all'anno 2012: nuove colonie e non più ampliamento di quelle esistenti. Ciò vuol dire nuovi espropri di terreni e maggiori limitazioni alle libertà di movimento dei palestinesi.

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