Libano

IL CORRIERE A SHATILA

ALLORA STEFANO AVEVA RAGIONE. ERA ORA, MA...

Trenta anni fa, nei primi giorni di settembre, il falco israeliano Ariel Sharon, ministro della Difesa di Tel Aviv, forse aveva già  cominciato a progettare, insieme ai militari fascisti del Libano, una vendetta esemplare contro il popolo palestinese. L'efferatezza del massacro pianificato e realizzato nei campi profughi palestinesi di Sabra e Shatila tra il 16 e il 18 di quel mese, scattato proprio subito dopo la triste partenza in nave da Beirut del capo della resistenza, Yasser Arafat, concordata con le forze multinazionali, resta nelle coscienze di tutti: non solo delle vittime, di chi subì i lutti o l'oltraggio sul proprio corpo e ne porta ancora i segni visibili sulla pelle, ma anche del resto del mondo che guarda attonito, mortificato e impotente il compiersi della strage per due lunghissimi giorni e due interminabili notti.

Stefano Chiarini, una delle firme più note e amate del manifesto, ancora oggi pianto in Palestina e nei campi poverissimi del Libano, sentiva proprio che doveva intestardirsi, come lui sapeva ben fare, e non lasciare che la memoria di quel delitto, il più simbolico dei tanti che hanno colpito i palestinesi perché frutto di una pura volontà di ritorsione e umiliazione di quel popolo, scomparisse: fondò perciò, insieme a Kassem Aina, coordinatore delle Ong palestinesi in Libano, e Talal Salman, direttore del prestigioso quotidiano libanese Al Safyr, e a tanti altri, il Comitato Per non dimenticare Sabra e Shatila.

Speciale Sabra e Chatila

3 articoli pubblicati da Marco Di Donato su Osservatorioiraq.org riportano testimonianze, interviste e racconti di quel massacro che ancora oggi non ha ricevuto giustizia ma, come riportato negli articoli, resta ancora la speranza!

La cantata rossa per Tall el Zaatar

Ma che nessuno
nessuno dico
che nessuno pianga!
Non una lacrima
dalle terre segrete
del nostro dolore
non una lacrima!
Perché in piedi
in piedi sono morti
Che nessuno pianga!

Un mese dopo, notizie su Nahr el Bared

"Loro guardano verso il futuro, ed è per questo che correggono i nostri errori
e gli errori di tutto il mondo."

Cerco la vera Palestina. La Palestina che vale più dei ricordi, più di una penna di
pavone, di un bambino e dei segni di matita sul muro delle scale. Mi stavo domandando
tra me e me: “Che cos’è la Palestina per Khaled?”. Per lui che non conosce il vaso, né
la fotografia, né le scale, né Halisa, e nemmeno Khaldun? E malgrado ciò gli sembra
che valga la pena di prendere le armi e morire per la sua causa. E per noi, invece per
me e per te, è soltanto la ricerca di roba coperta dalla polvere dei ricordi. Guarda che
cosa abbiamo trovato, sotto questa polvere… Ancora polvere! Ma noi abbiamo
sbagliato a credere che la patria fosse soltanto il passato. Per Khaled invece, per lui, la
patria è il futuro, e la differenza è talmente grande che Khaled ha deciso di prendere le
armi. Ce ne sono a decine di migliaia, come Khaled, che non si lasciano trattenere
dalle lacrime di umiliazione di quelli che cercano negli abissi delle proprie sconfitte

frammenti di scudi e linfa di fiori. Loro guardano verso il futuro, ed è per questo che
correggono i nostri errori e gli errori di tutto il mondo.

Questo frammento di alta letteratura proviene dal libro di Ghassan Kanafani “Ritorno ad Haifa”. Una settimana fa, l’8 luglio, è stato il quarantesimo anniversario della morte del poeta, leader politico, fondatore della letteratura di resistenza, nonché protagonista del Fronte Popolare per la Liberazione della Palestina, Ghassan Kanafani.

Una breve frase in omaggio alla sua opera politica e letteraria era dovuta, inoltre la citazione mi sembra adatta ad introdurre le buone notizie che arrivano da Nahr el Bared.

I giovani di Nahr el Bared, i leader politici, i membri della comunità hanno lottato, per la sopravvivenza dal 2007, e per un riconoscimento dei propri diritti specialmente nell’ultimo mese, e hanno vinto.

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